Zdenek Zeman non batté ciglio quando alla fine della stagione 1991-92 il presidente Casillo decise di far cassa e smantellare il Foggia dei miracoli del trio d’attacco Baiano-Signori-Rambaudi, del giovane promettente Matrecano e del russo Shalimov. Gli schemi, non i singoli giocatori contavano per il boemo. L’unica eccezione, l’unica richiesta che Zeman fece a Casillo fu quella di non vendere il portiere, Francesco Mancini.
A detta del boemo, infatti, nessuno meglio di Mancini avrebbe potuto interpretare il compito che il 4-3-3 “tutti all’attacco” del Foggia richiedeva al portiere: tanta abilità con i piedi, uscite spericolate, un po’ di pazzia e qualche papera ogni tanto, perché anche gli avversari devono segnare.
Senza Mancini in porta, Zeman non avrebbe potuto costruire il Foggia dei miracoli bis, il Foggia del giovane Kolyvanov e dei vari Di Bari, De Vincenzo, Seno, Pierpaolo Bresciani e Biagioni, tutti semi-sconosciuti che fino al 1992 calcavano i campi di B e C, che ottennero una tranquilla salvezza nel 1992/93 e che sfiorarono addirittura la qualificazione UEFA la stagione successiva.
Senza Mancini preparatore dei portieri, Zeman vent’anni dopo forse non si sarebbe rimesso in gioco prima a Foggia e poi a Pescara. Senza Mancini, Zeman e il Pescara ora invece dovranno restare, perché a soli 43 anni un infarto ha portato via il portiere del Foggia dei miracoli.
E chissà se stasera e domani la Lega avrà il coraggio di far osservare un minuto di silenzio sui campi di A e B. Fatto poco probabile visto che Francesco Mancini era solo un giocatore di calcio, che amava il calcio e non un soldato morto in guerra in Afghanistan o, meglio, morto in missione di pace in Afghanistan prima di poter tornare in Italia a presidiare a Chiomonte il non-cantiere della TAV.
federico