(dal Guerin Sportivo)

Un campo al limite della praticabilità, una pioggia che cade incessante. Sinonimi di non partite o, al più, di partite agonisticamente intense in cui i giocatori più tecnici lasciano la ribalta ai giocatori di quantità.
Ma la classe non è acqua se ti chiami Roberto Baggio.

Scaricato dalla Juventus dopo gli arrivi di Lippi e Del Piero, panchinaro di lusso a Milano sponda rossonera per due anni, il Codino sbarca a Bologna, in provincia, nel settembre del 1997 e ritrova sin da subito serenità, gol, affetto di tifosi e avversari. Per l’ottava giornata il Bologna è di scena a Vicenza contro i biancorossi di Guidolin che si stanno facendo valere in Coppa delle Coppe. Il campo è ridotto a un acquitrino, ma Baggio sembra non accorgersene. Dopo aver propiziato con una punizione tagliata in area il gol del momentaneo 1-1 di Marocchi, al 53′ scende sulla sinistra, resiste a un tackle di Di Carlo all’altezza del vertice dell’area di rigore, si spinge quasi sul fondo e lascia partire un pallonetto di sinistro che si infila dove Brivio non può mai arrivare. La prodezza non serve al Bologna perché segneranno Otero e Schenardi per i padroni di casa, ma negli occhi di tutti rimane quel capolavoro balistico, quella magia nel diluvio.

Anche se a mettersi a contare le perle di Baggio non basterebbero le dita di cinque mani, il gol a Vicenza sotto il diluvio rimane la mia perla preferita: in esso c’è la prima vera dimostrazione di quella serietà, di quell’umiltà, di quella classe che lo aveva portato a ripartire da Bologna in quel 1997 e che lo porterà a finire la sua carriera a Brescia dopo il terzo Mondiale giocato da protagonista e l’ennesimo tentativo di aver il giusto spazio in una grande (di nuovo a Milano, stavolta sponda nerazzurra).

federico