Trapattoneide – sesta puntata

«Le mode cambiano sempre, ma il classico non muore mai». Sportweek del marzo 2000 chiude con questa frase virgolettata il pezzo dedicato al quasi 61enne Trapattoni, che da lì a qualche giorno affronterà con la sua Fiorentina il Manchester United a Old Trafford. La qualificazione al secondo turno a gironi ottenuta segnando e poi resistendo a Wembley contro l’Arsenal e il 2-0 rifilato ai red devils nel match del Franchi hanno fatto pensare a una viola in grado di andare ancora più lontano. Non sarà così: il giovane Valencia di Cuper staccherà il secondo biglietto per i quarti dietro lo United e le minacce personali ricevute dai tifosi convinceranno il Trap a lasciare Firenze al termine della stagione.
Non è la fine del rapporto tra l’allenatore e il calcio italiano, anzi manca l’esperienza lavorativamente più importante e più avara di soddisfazioni, quella alla guida della Nazionale. È, però, la parola fine su quasi venticinque anni di Serie A caratterizzati da successi, elogi, critiche, attacchi e abiure del “Vangelo di Giovanni”, sempre per rimanere al citato articolo di Sportweek.

Di quanto l’approccio basato su una migliore preparazione fisica, predicato dall’allora poco più che 35enne Trapattoni, fosse stato innovativo per il calcio italiano di fine anni Settanta abbiamo già detto. Lo spirito del “prima non prenderle” non era, però, mai stato accantonato dalle sue squadre, specie in vista di trasferte decisive per il campionato o per le coppe europee. Non a caso, a chi nel 1998 gli chiedeva della sua recente esperienza al Bayern Monaco, condita anche da una vittoria in Bundesliga, raccontava che i giocatori non erano abituati ad allenarsi così spesso, ma anche che, per vincere, «bisognava andare alla ricerca di un gioco più umile, meno spregiudicato. Lo stesso con cui ho vinto con Inter e Juventus in passato».
È questo che, agli occhi di quelli che una volta venivano identificati come i fautori del gioco a zona, fa del Trap un «uomo del passato, superato da un futuro che non può attendere i dinosauri». Perché fino a qualche anno prima c’era ancora qualcuno che usava il libero, ma nel 2000 di difesa a uomo non ha davvero più senso parlare: il gioco più corto e più intenso ha fatto sì che di difensori che seguono a tutto campo il proprio avversario di fatto non se ne vedono più; ai centrocampisti è chiesto, inoltre, un lavoro più muscolare e così il fantasista, quando c’è, deve cercare sulla linea degli attaccanti il proprio posto, con la conseguenza che le marcature tipo Matthäus su Maradona sono ormai fuori moda.

In realtà, la Serie A dà per tramontata la stella di Trapattoni perché l’allenatore di Cusano Milanino tra il 1989/90 e il 1993/94 ha vinto “solo” due Coppe UEFA, pur essendo stato alla guida di Inter e Juventus. E se poteva essere imputabile alla particolare atmosfera che aleggiava nel capoluogo lombardo il non esser riuscito a creare un vero e proprio ciclo in nerazzurro, nonostante la presenza dei tedeschi e di tanti giocatori nel giro della nazionale come Zenga, Bergomi, Ferri, Berti, («A Milano sponda Inter, troppa pressione. Dopo di me nessuno farà cicli quinquennali. Anche Sacchi ha sentito lo stress», dichiarò allora), furono quei tre anni di ritorno a Torino a dare il colpo di grazia: troppa la differenza con il Milan di Capello, che a Milano dava invece il La a un ciclo quinquennale, e troppo scarto con la Juventus che, preso Lippi al suo posto, sarebbe tornata a vincere, esprimendo oltretutto un gioco più offensivo.
Non si addice, però, al personaggio Trap la chiusura malinconica. E allora via a ripescare due “imprese”, una per ciascuna delle due vincenti campagne UEFA di inizi anni Novanta, due partite di ritorno, complementari tra loro perché rappresentano i due diversi modi di vincere tanto cari al gioco all’italiana.

Partiamo dalla rimonta. Secondo turno dell’edizione 1990/91. A Birmingham l’Inter ha perso 2-0 con l’Aston Villa. Non ha rinunciato a proporsi, ma il risultato ci sta, soprattutto in virtù del gran secondo tempo dei villans trascinati dal futuro “italiano” David Platt. A San Siro è, però, tutta un’altra musica: nerazzurri avanti al 6′ grazie a un’acrobazia di Klinsmann che quasi da terra riesce ad anticipare Spink; raddoppio al 64′ con Berti che si fa trovare pronto sul secondo palo su punizione da sinistra di Matthäus; gol decisivo di Alessandro Bianchi, in scivolata, dieci minuti dopo, a conclusione di una ripartenza da corner avversario. La rimonta adesso è compiuta, ma un po’ per l’incessante incitamento del pubblico, un po’ per la carica agonistica mostrata dalla squadra, si rimane con la sensazione che era solo questione di tempo e quel 3-0 sarebbe arrivato.

Concludiamo con la vittoria un tiro in porta, un gol. Semifinale dell’edizione 1992/93. Al Comunale Weah ha portato avanti il Paris Saint Germain, poi con gran fatica e grazie al talento di Roberto Baggio la Juventus nella ripresa a recuperare e vincere di misura. Ai parigini, però, basta un gol nel match di ritorno e attaccano a tutto spiano. Rampulla non fa sentire la mancanza del titolare Peruzzi e, poi, improvvisamente e una ventina di minuti dalla fine, nell’unica azione offensiva degna di nota, Vialli gira a rete e Baggio ci mette il piedino. Maradei, sulla prima pagina della Gazzetta, il giorno dopo esalta così «Sandokan Trap e i suoi pirati» bianconeri (e un finale migliore non sapremmo immaginarlo):

Nei più grandi manuali della storia piratesca entra questo abbordaggio parigino della Juve. […] Adesso sappiamo ancor più che il calcio può esser qualsiasi cosa: anche una bieca e incrollabile muraglia, senza brecce e senza spiragli, anche una paura continuata, anche un gioco a una sola porta. Poi tutt’a un tratto dall’accampamento assediato si diparte una sorta di ricamo. […] L’eroe parigino di Salgari ha il nome più atteso: quello di Roberto Baggio. Un gol, appunto, di pirata di gran classe.


Trapattoneide – puntate precedenti:

5 settembre 1960: La sconfitta dal fondo del cappello
12 maggio 1963: Italia batte Pelé
Pippo e il Trap
La Juventus europea del Trap
26 ottobre 1986: Un atteso sbaglio di panchina