Gli azzurri conquistano alla presenza di Mussolini il Campionato del Mondo. Il titolo della Gazzetta dello Sport dell’11 giugno 1934 non lascia dubbi sull’importanza rivestita dal capo del Partito Fascista nella vittoria italiana al Mondiale di calcio. Il Corriere della Sera si spinge anche oltre e suggerisce come l’ingombrante e carismatico duce abbia addirittura animato gli azzurri nella battaglia finale, dopo che la Cecoslovacchia si era trovata inaspettatamente in vantaggio. Ex post possiamo dire che mai come questa volta il tributo al padrone di turno sia necessario, perché senza la volontà politica di usare il calcio come incredibile mezzo di coesione sociale e propaganda quel Mondiale in Italia non sarebbe neanche mai arrivato. E possiamo aggiungere che l’editorialista della Stampa di quell’11 giugno ha ragione a parlare del successo della nazionale di Vittorio Pozzo come di un dovere compiuto.

Non è però di questo che vogliamo parlare, o meglio non è solo della importanza dell’ambiente (giusto per usare un eufemismo). La nazionale italiana è infatti una signora squadra e nel quadriennio successivo saprà cogliere successi internazionali anche senza quell’ambiente. Vogliamo semplicemente raccontare le ultime due stazioni che portano gli azzurri a fregiarsi del loro primo titolo mondiale.

1934 guaita

Guaita si avventa sulla palla respinta da Platzer

Dopo aver passeggiato contro gli Stati Uniti e aver sofferto contro la Spagna, l’Italia si ritrova in semifinale l’Austria di Hugo Meisl e Sindelar, il Wunderteam, battezzato così il 16 maggio 1931 a seguito di una roboante vittoria per 5-0 colta ai danni della Scozia. L’Italia schiera Combi in porta, i terzini Monzeglio e Allemandi, Ferraris, Monti e Bertolini in mediana, Guaita, Meazza, Schiavio, Ferrari e Orsi in attacco secondo il classico schieramento a W che propone il metodo. Gli azzurri partono bene, anche perché alla lunga le fatiche patite contro la Spagna potrebbero farsi sentire, e al 21′ sono in vantaggio grazie a una confusa azione e al solito fattore campo, almeno a sentire gli austriaci. È, infatti, accaduto che il portiere austriaco Platzer ha respinto corto un tiro di Schiavio, che gli azzurri Meazza, Guaita e lo stesso portiere si sono avventati sulla palla, che questa è carambolata in rete insieme ai tre giocatori coinvolti nello scontro e che gli austriaci si sono avventati sull’arbitro svedese Eklind, il quale ha convalidato il gol e non ha ritenuto fallosa la carica subita da Platzer. Per le statistiche, il confuso gol che vale la finale è assegnato a Guaita. La partita dice infatti poco altro: gli austriaci attaccano, ma Combi non è mai seriamente impegnato.

La Gazzetta dello Sport, 1 marzo 1934

La Gazzetta dello Sport, 1 marzo 1934

Una settimana dopo, a Roma, allo Stadio del Partito, ovvero all’ex-Flaminio, va in scena la finale contro i cecoslovacchi che hanno battuto in semifinale la Germania. L’Italia ripropone gli stessi undici della semifinale, la Cecoslovacchia ha nel portiere Planicka e nel centrattacco Nejedly (poi capocannoniere con 5 reti) le sue punte di diamante. C’è di nuovo Eklind ad arbitrare, ma stavolta non sarà decisivo. Scrive il ct Pozzo nelle sue memorie: “È la storia di sempre. L’importanza della posta taglia le gambe a tutti. Primo tempo in bianco assoluto. Secondo tempo stessa falsariga. Finché…”
Finché al minuto 70 l’ala Puc sguscia via e con un tiro non irresistibile batte un sorpreso Combi. L’episodio cambia il volto al match. L’oriundo Raimundo Orsi pareggia dieci minuti dopo con un destro scoccato dalla fascia sinistra che si infila sotto l’angolo alto più lontano. Ai supplementari l’opera è completata da Angiolino Schiavio che in diagonale segna il 2-1. Planicka e la Cecoslovacchia cedono con l’onore delle armi, ma la gloria è tutta degli azzurri e dei papaveri del Partito. Missione compiuta.

federico