Storia della coppa più bella: 5° puntata
Ciascuna delle due compagini in lizza vince il match giocato davanti al proprio pubblico, ma, a parità di gol totali, viene premiata quella che ne ha realizzati di più nella partita disputata lontano dalle mura amiche, sinonimo di una non completa rinuncia a offendere in quei novanta minuti. Sarà questo lo scenario che si presenterà con maggiore frequenza, ma curiosamente la prima doppia sfida decisa dalla regola del gol in trasferta nella storia delle competizioni UEFA per club registra due vittorie esterne: ottavi di finale della Coppa delle Coppe 1965/66, Dukla Praga-Honved Budapest 2-3, 2-1. Passano, dunque, gli ungheresi grazie ai tre gol segnati in terra cecoslovacca dall’ala sinistra Lajos Tichy. Il magiaro, che aveva debuttato poco più che ventenne nella Honved e nella Nazionale del dopo Aranycsapat, e aveva partecipato alle spedizioni Mondiali del 1958 e del 1962, realizzando in totale sette reti, è dunque il primo giocatore a segnare un eurogol che vale “doppio”.[1]
La regola evidentemente piace, perché già a partire dalla stagione 1967/68 viene adottata anche in Coppa dei Campioni[2], ma per arrivare a eliminare del tutto gli spareggi c’è ancora un po’ di strada che, a mo’ di sperimentazione, la UEFA chiederà di fare alla Coppa delle Coppe prima che alla manifestazione regina. In caso di risultato a specchio, infatti, l’unica soluzione è ancora la bella in campo possibilmente neutro e nei quarti di finale dell’edizione 1967/68 ben tre delle sfide in programma vanno allo spareggio.[3] Unica alternativa è un accordo tra le due contendenti nel ricorrere subito a un sorteggio per non allungare troppo i tempi. È quanto avviene al termine del quarto di finale del 1966/67 tra Real Saragozza e Rangers Glasgow. Sconfitti 2-0 in Scozia, gli spagnoli segnano con Lapetra e poi riagganciano il treno qualificazione a pochi minuti dal termine della sfida di ritorno, grazie a un rigore di Santos. Ai supplementari gli ospiti potrebbero chiudere il conto, ma il rigore calciato da Dave Smith è parato da Yarza e allora è un lancio della monetina operato dall’arbitro francese Kitabdjian a far pendere la sorte dalla loro parte.[4]
La possibilità di ricorrere ai tempi supplementari nella sfida di ritorno, in caso di parità assoluta, lascia, però, un dubbio: se, ad esempio, nel corso della proroga entrambe le squadre segnano un gol, si applica la regola del gol in traferta oppure no? La risposta ce la dà la semifinale tra Gornik Zabrze e Roma della stagione 1969/70 e, come nel caso di Torino-Monaco 1860 visto in precedenza, è la squadra italiana a rimetterci a dispetto di quanto avverrebbe oggi nella medesima sistuazione.
Una delle più lunghe sfide che la storia delle manifestazioni europee per club ricordi inizia all’Olimpico il 1° aprile 1970. Risultato 1-1 con Salvori che pareggia nella ripresa un gol di Banaś. In Polonia due settimane dopo Fabio Capello porta avanti la Roma, ma a un minuto dal termine Włodzimierz Lubański pareggia grazie a un rigore che per l’inviato della Gazzetta è «alquanto discutibile». Le cose peggiorano quando al quinto minuto del primo tempo supplementare «un tiro fortunoso dello stesso Lubański coglieva in contropiede il portiere Ginulfi», poi quasi all’ultimo secondo Scaratti «irrompe come una catapulta» su una respinta della difesa del Gornik e dal limite dell’area di rigore fa partire «una saetta» che rimette tutto a posto. Giallorossi in finale? No, per l’UEFA non è giusto applicare la away goal rule anche ai supplementari, sarebbe un vantaggio per chi gioca fuori il match di ritorno, anche se Nando Martellini, che sta raccontando la partita in Rai non lo sa e convince i tifosi giallorossi a scendere a festeggiare in strada.[5]
Serve invece lo spareggio che ha luogo a Strasburgo il 22 aprile. Ovviamente anche la terza sfida finisce in parità, 1-1, non bastano i supplementari e serve la monetina del direttore di gara, il francese Machin, che indica come vincitrice la squadra polacca. A rendere il tutto una vera Odissea contribuisce anche l’impianto di illuminazione dello stadio francese che si guasta a più riprese.
Se c’è, però, una cosa su cui cala definitivamente l’oscurità quella sera è l’idea un po’ ingenua della UEFA di non considerare fondamentale per la buona riuscita di una grande manifestazione la certezza dei suoi tempi di esecuzione. Non a caso l’edizione 1969/70 della Coppa delle Coppe è la prima in cui le diverse partite dei singoli turni si giocano tutte nello stesso giorno e l’ultima in cui non è previsto l’ausilio dei tiri di rigore se la situazione è ancora in bilico dopo 210′ di gioco.
federico
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[1] Per spiegare la regola del gol in trasferta si userà spesso il concetto che, a parità di gol realizzati, le reti fuori casa valgono doppio, generando specie nei più piccoli dubbi del tipo: «Ma se perdiamo 3-1 fuori e vinciamo 1-0 in casa, chi passa?»
[2] Le prime sfide decise dalla nuova norma sono quelle del turno preliminare Valur Reykjavik-Jeunesse d’Esch 1-1, 3-3 e Glentoran-Benfica 1-1, 0-0. Da notare che negli spareggi per accedere alla fase finale degli Europei 1972, competizione UEFA ma per nazionali, la regola non è ancora in uso e Ungheria e Romania, dopo 1-1 a Budapest e 2-2 a Bucarest, giocano a Belgrado lo spareggio che premia comunque i magiari
[3] Standard Liegi-Milan 1-1, 1-1 dts e poi 2-0 per i rossoneri a Milano; Cardiff-Torpedo Mosca 1-0, 0-1 dts e poi 1-0 per i gallesi a Mosca il giorno dopo il match di ritorno; Amburgo-Ol.Lione 2-0, 0-2 dts e 2-0 per i tedeschi di nuovo ad Amburgo
[4] Real Saragozza e Rangers Glasgow optano per il sorteggio, rinunciando al terzo match, probabilmente perché le altre tre sfide valide per i quarti di finale si sono concluse due settimane prima
[5] Scrive la Gazzetta dello Sport il 17 aprile: «Dato che l’incontro in trasferta viene considerato chiuso al novantesimo, i supplementari allora dovrebbero essere giocati in campo neutro oppure per assurdo a porte chiuse. Questo risvolto del regolamento della manifestazione lo ignoravano tutti o quasi, ecco motivate le disavventure in cui sono incorsi numerosi colleghi ed il bravo Martellini»