La narrazione del calcio al tempo delle narrazioni – 6° puntata: Narrazioni tossiche

Se raccontare il passato appiattendosi sull’aspetto emozionale ed evitando di inserire una qualsiasi dimensione storica dà luogo a narrazioni povere culturalmente e, quindi, pericolose in prospettiva, c’è un insieme di narrazioni tossiche che già adesso sta offrendo un saggio della loro aggressività e della loro pericolosità. Senza ovviamente disdegnare la possibilità di monetizzare il tutto attraverso canali vecchi e nuovi.

Molto ruota intorno al significato e ai valori -o forse sarebbe più corretto chiamarli disvalori- che si assegnano alla parola “bomber”, mutuata dal linguaggio guerresco e da sempre usata nel gergo calcistico per indicare un attaccante che segna molto.
Per una definizione di bomberismo particolarmente a fuoco attingiamo di nuovo al vocabolario dell’Istituto Treccani:

bomberismo. Atteggiamento sessista e xenofobo, basato su una visione semplificata, acritica e rozza della realtà, che prende a modello i comportamenti di alcuni noti personaggi del mondo dello sport e trova sfogo nei siti di relazione sociale in Rete.

Il fenomeno è sorto insieme all’esplosione dei social network in Italia, tra il 2009 e il 2010, trascinato da alcune pagine Facebook1 che hanno iniziato a “intossicare” il web a suon di ignoranza (divenuta improvvisamente valore e declinata come principale virtù dei bomber anni Novanta), sessismo (le donne chiamate «cagne» e ridotte a meri trofei dei vari bomber), un po’ di passatismo (si rimpiange per esempio un Bobo Vieri, ignorante e tombeur de femmes) e, malcelato razzismo. Il tutto dà vita a un’esaltazione del degrado che ha fin da subito ottenuto grande successo e che ben presto è andata oltre il mondo del calcio.
Non a caso la perfetta analisi fatta da Vincenzo Marino su Vice (e citata anche dalla Treccani per la succitata voce), parte dalla diffusione un video del febbraio 2017, in cui si vedono due donne Rom rinchiuse nell’angolo rotture dai dipendenti di un discount di Follonica perché sorprese a rovistare nei cassonetti. Il video venne rilanciato da numerose pagine Facebook ascrivibili al fenomeno2 e ripreso addirittura dal leader della Lega Matteo Salvini, in un vortice virale quanto tossico non dissimile da quello dell’alt-right americana che nel novembre 2016 ha contribuito a portare Donald Trump alla Casa Bianca.

La svolta social delle principali testate giornalistiche nazionali, quella che, tanto per capirci, in nome della necessità di “big likes” ha reso i filmati amatoriali su gattini o altri animali degni di comparire nell’edizione serale del Tg2 o nella home dei siti di Repubblica o Corriere della Sera, ha agevolato l’invasione -e qui il termine è più adatto che in altri casi- anche dell’informazione sportiva mainstream da parte degli ideatori di queste pagine Facebook.
Sia direttamente3, che indirettamente; basti vedere le rubriche dedicate alle wags in tutti i siti di informazione sportiva in una standardizzazione verso il basso che non fa che alimentare il machismo, la misoginia e la xenofobia dell’italiano medio, nascondendosi dietro al dito della goliardia.

Questa freccia avvelenata, che poi è l’origine del termine “tossico” (dal greco τοξικόν, il veleno applicato sulle punte), ha iniziato ben presto a saettare nelle homepage e nei profili social di tutti i giornali sportivi: basti pensare alle numerose gallerie fotografiche dedicate alle cosiddette wags preferibilmente in abiti succinti.
Fondamentale, per tentare di scardinare questa narrazione, è mostrare come non si possa parlare di semplice goliardia, termine che, tra l’altro, rimanda a brutti ricordi di regime. Del resto, questo modo di narrare il calcio è rivolto al target maschio-bianco-eterosessuale e -ciò che ancor più grave- quel target lo alimenta, se non addirittura lo costruisce: una sorta di esaltazione del ruolo del maschio, che si spaccia come naturale e che la società invita, direttamente o indirettamente, a ritenere tale. E che traslato fuori dal terreno di gioco porta alla presupposta liceità di certi comportamenti sociali, vedi cameratismo su battute e apprezzamenti pesanti fatti alle ragazze per strada o sui social network, o creazione di branchi dediti al revenge porn e fautori della cultura dello stupro.

Alla costruzione di questa mascolinità tossica contribuisce, dunque, non solo l’universo bomberistico, ma chiunque faccia del pallone una roccaforte che non può essere invasa in nessun modo dalle donne, se non in quanto oggetti del desiderio sessuale. Per questo motivo diventa importante, nell’ottica decostruttiva di una contro-narrazione, portare alla luce il profondo sessismo che spesso si nasconde dietro osservazioni spacciate come tecniche a mezzo stampa.
Indice della grande diffusione di questi meccanismi che legano indissolubilmente calcio e costruzione tossica del genere, sono le reazioni a cui, come Calcio Romantico, andiamo incontro quando li si cerca di portare alla luce. Reazioni principalmente di due tipi: si è accusati di esagerare, di essere bacchettoni, di vedere sessismo ovunque, cosa che puntualmente accade anche quando si toccano i tasti del razzismo e dell’omofobia; in alternativa, ci dicono “e fattela una risata”, relegando tutto, quindi, alla solita goliardia.
Ma non c’è proprio niente da ridere.

Nell’immagine in evidenza: copertina del singolo Una vita da bomber (2020), cantato da Bobo Vieri, Lele Adani e Nicola Ventola. La canzone è nata come operazione commerciale nel post-lockdown, che aveva visto i tre ex calciatori improvvisare una sorta di programma con dirette Instagram, e, infatti, il video arriva al milione di visualizzazioni nella sua prima settimana dopo l’uscita. Un’operazione che si potrebbe definire “innocente” e perfettamente inserita nella narrazione del rilancio dell’estate 2020; solo che nel testo non mancano accenni di sessismo («Eppure la tua amica è la fine del mondo / Se porti pure lei in trasferta vale doppio / Dietro di me, che fila c’è») e un sunto della filosofia machista del bomber («Io faccio pressing alto, non guardo indietro / Io non tradisco mai, mai, Coca zero / Bevo Martini come fosse acqua naturale / Tutti vogliono fare una vita da bomber»).

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