Non dire gatto se non ce l’hai nel sacco. 1° puntata: Rimonte in celluloide o a fumetti

La frustrazione di esser sotto nel punteggio, la paura di essere ormai tagliati fuori, l’emozione di ritrovarsi ancora in corsa, la gioia del successo riacciuffato all’ultimo istante e la catarsi finale. Non c’è niente da aggiungere: una partita vinta in rimonta è la cosa più bellache si possa mai avere, perché condensa in sé tutte le emozioni che il calcio può dare e ha il lieto fine assicurato.

Pensate alla New Team e alla semifinale contro la Mambo F.C. nel campionato delle medie più seguito della storia: un Holly Hutton irriconoscibile, scosso dalla notizia della malattia dell’amico avversario Julian Ross, negli ultimi minuti riprende in mano la squadra e, grazie a tre gol suoi e a uno di Tommy Becker, il risultato passa da 1-3 a 5-4. Sì, perché Ross -tra un infarto e l’altro- ha avuto il tempo di segnare ancora.
Che rimonta incredibile! Finta, sì… Ma dalle rimonte, chi si accosta al mondo del pallone per farne film, serie TV o fumetti non può prescindere. Del resto, raccontare di una squadra che vince sempre quattro a zero non è molto accattivante.

Non è quindi un caso se la New Team all’inizio va sempre sotto e poi e puntualmente pareggia o vince nei minuti finali; non è un caso se la Longobarda, nonostante il buon avvio di campionato, si salva solo nei quindici minuti finali dell’ultima giornata grazie a una doppietta di Aristoteles; non è un caso se Jimmy Grimble solo nel secondo tempo della finale capisce che la sua forza non sta negli scarpini, comincia a giocar bene e fa risalire i suoi da 0-2 a 3-21.

La rimonta è centrale anche in uno dei film più belli che il cinema abbia mai regalato al calcio, un film che dal calcio vero e dal dramma della partita della morte ha preso spunto: Két félidő a pokolban (Due tempi all’inferno).2 La trama è facile da raccontare, anche perché le somiglianze con il ben noto Fuga per la vittoria di John Houston non sono casuali. In un campo di prigionia i nazisti scovano Ónódi II, giocatore ungherese di chiara fama, e gli chiedono di metter su una squadra di prigionieri che sfidi il giorno del compleanno di Hitler una rappresentativa dell’esercito tedesco. Ónódi ha fame, ma quando gli presentano un pallone e una forma di cacio non ha dubbi: lascia da parte il formaggio, prende in mano la sfera di cuoio e comincia a palleggiare. L’accordo è fatto e Ónódi si impegna a selezionare dieci uomini per la sfida contro i tedeschi.

onodi-kettoI prigionieri prescelti approfittano della maggiore libertà ricevuta per allenarsi e provano la fuga, ma vengono ripresi e condannati a morte. La partita, però, s’ha da fare. All’intervallo i tedeschi sono avanti 3-1 e il loro comandante offre la grazia ai prigionieri in caso di sconfitta. Ónódi e compagni non ci stanno a perdere la partita e a vendersi ai nazisti: è una rimonta che avviene prima dentro di loro e poi sul campo. Anche l’arbitro, un prigioniero italiano, è dalla loro parte e non esita a fischiare il rigore che porta al 3-3. Arriva anche il gol vincente, i prigionieri che hanno assistito a bordo campo per la gioia invadono il terreno di gioco e i tedeschi fucilano tutti, giocatori e arbitro compresi. Perché il film, giova ricordarlo, non è americano.

Le rimonte in celluloide o a cartoni animati, avvincenti o noiose che siano, hanno un difetto comune: non sono inaspettate. Tutto il contrario di quelle benedette dal campo ed è per questo che ci aspetta un lungo viaggio.

federico

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