Più di due mesi, tanto tempo è passato dall’ultimo articolo che parlava del rapporto tra narrazioni varie e sport in tempo di Covid-19. In programma c’era un pezzo che riflettesse sul recupero della memoria che stava operando Raisport, con particolare attenzione a ciò che il canale televisivo e, quindi, in genere la Rai riteneva degno di essere ricordato, ma non molto di più. In fondo, avevamo già scritto di quanto lo sport, in tutte le sue accezioni, fosse stato gravato di aspetti negativi nel corso della quarantena e discutere di quando e come il calcio, quello professionistico, avrebbe riaperto non ci stuzzicava troppo: perché sarebbe accaduto, prima o poi, in quanto attività legata a interessi economici, e perché, al momento della riapertura, saremmo stati sottoposti, da un lato, alla retorica del pallone come simbolo dell’Italia e della vita che riparte e, dall’altra, agli attacchi contenenti giudizi di valore su quali erano le vere priorità.
La Bundesliga ha fatto un po’ da cavia, soprattutto per i protocolli da adottare, e così a un mesetto di distanza ecco anche le big del calcio italiano tornare in campo per le fasi conclusive della Coppa Italia: una scelta che si inseriva dentro l’idea del calcio patrimonio della nazione, vista la possibilità di vedere in chiaro le partite che, tra l’altro, avrebbero assegnato il primo importante trofeo del dopo Covid-19 (o del durante Covid-19, fate voi). Lo spettacolo che ci si attendeva, sportivamente parlando, era poco, specie per chi come noi un po’ di match del campionato tedesco li aveva visti nell’ultimo mesetto. La realtà è stata anche peggio: stadi silenziosi e zero pathos, anche se a giocare è la tua squadra per cui tifi; ritmi lenti e gente che trotterella per il campo. Tutte cose che hanno fatto capire quanto abbiano avuto ragione Athletic Bilbao e Real Sociedad a dire che la Coppa del Re 2020 se la giocheranno quando parlare di stadi pieni sarà di nuovo possibile.
A vincere una finale, che anche il telecronista Rai ha definito non bella, è stato meritatamente il Napoli di Rino Gattuso. Gli azzurri hanno fatto la loro buona partita in copertura e senza Buffon di fronte avrebbero pure potuto evitare i rigori. Poi è arrivato il momento più atteso, se non altro perché segnava la fine di una serata dedicata al programma TV sbagliato: l’autopremiazione. Anche qui, un po’ di delusione. A parte il ritiro medaglie in autonomia, tutto è sembrato come prima con giocatori, tecnici e dirigenti del Napoli che hanno finito per posare tutti intorno sul podio con la coppa e poi a passarsela a vicenda. Con il pubblico della grafica virtuale in evidente visibilio.
Vogliamo pensare che il privilegio di effettuare continuamente tamponi permette ai giocatori di assembrarsi senza che il pericolo sia reale. Di certo, tutti coloro che hanno festeggiato in piazza a Napoli non erano tra loro congiunti, ma pretendere che non scendessero in strada era davvero fuori dal tempo. Il calcio, del resto, non doveva servire per ripartire e tenersi alle spalle il resto? Un po’ come il fuoristrada, il supermercato o la polizza auto negli spot pubblicitari.
In un momento in cui la percezione della pandemia è ormai abbondantemente sotto il livello di soglia, anche perché si è permesso alle regioni più colpite dal virus di avere lo stesso trattamento delle altre, ci si continuerà a muovere in ordine sparso, seguendo norme diverse (o non seguendole affatto) a seconda dello spazio che si attraversa e di chi ha la responsabilità di farlo attraversare e a interrogarsi se non era meglio lasciar perdere campionato, coppe e quant’altro. E niente… L’avevamo detto che l’argomento non ci stuzzicava…
federico
Nella foto: Ospina, Lozano, Llorente e Callejon posano con la coppa