Il seguente articolo è tratto dal primo dei due podcast che la redazione de La Fascia Sinistra, riunitasi per l’occasione, ha realizzato in collaborazione con lautoradio.org per Parole fuorigioco, il podcast di Odiare non è uno sport, progetto a cura di Radio Sherwood. 

Scrive wikipedia:

il concetto di cultura dello stupro è usato a partire dagli studi di genere, dalla letteratura femminista, per analizzare e descrivere una cultura nella quale lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono comuni, e in cui gli atteggiamenti prevalenti, le norme, le pratiche e i media, normalizzano, minimizzano o incoraggiano lo stupro e altre violenze sulle donne.

Se, dunque, con la parola ‘stupro’ si indica l’atto di violenza in sé, nella cultura dello stupro rientrano, invece, tutti quei comportamenti che alimentano l’idea che le varie forme di violenza sessuale corrispondano, in realtà, a “normali” modalità di relazionarsi. Direttamente, vedi molestie verbali o pacche sul fondoschiena. O indirettamente, vedi l’abitudine a giustificare chi stupra perché chi va in minigonna in discoteca se l’è cercata.

Anche noi -Daniele e Federico- che ne stiamo scrivendo, ci siamo dentro. Siamo anche noi dentro una cultura patriarcale e, oltre a un lavoro quotidiano su noi stessi per combattere la mascolinità tossica con cui la società ci ha cresciuti, una delle cose che possiamo fare è porre l’accento su ciò che allimenta questa cultura.
In questo articolo, a proposito di normalizzazione della violenza di genere, vogliamo occuparci di alcuni casi di calciatori accusati di stupro (o di altre forme di violenza sessuale), che, però, proseguono la loro carriera senza particolari intoppi. Né da parte delle istituzioni, né da parte delle società per cui giocano o gareggiano.

Partiamo dal caso di Mason Greenwood, nella sessione 2024 del mercato estivo accostato alla Juventus e, in passato, anche ad altre squadre italiane. Le vicende che hanno riguardato l’ex enfant prodige del Manchester United negli ultimi due anni e mezzo sono ben note agli addetti ai lavori e non solo: l’arresto a gennaio 2022 per stupro e aggressione nei confronti della sua compagna, che aveva messo sui social le foto dei lividi e delle ferite infertele durante una lite domestica, diffondendo anche degli audio in cui si sentiva il calciatore prodursi in frasi minacciose (lui non ha mai negato che la voce fosse sua); la sospensione da parte dei red devils per un anno e mezzo e il non pieno reintegro nonostante il proscioglimento dalle accuse (febbraio 2023), arrivato anche a causa delle storture legislative inglesi che potremmo riassumere con la formula utilizzata da Sarah Shephard su The Athletic,

Greenwood è un uomo libero non perché è stato dichiarato innocente, ma perché il caso non è mai arrivato in tribunale;

l’ambigua decisione del Manchester United di non rescindere il contratto in essere e di parcheggiarlo al Getafe1.
Ora che è all’Olympique Marsiglia, allenata peraltro da un italiano, De Zerbi, sono praticamente sparite le notizie delle vicende extracalcistiche.

Il fatto che club italiani abbiano cercato di ingaggiare Greenwood è particolarmente indicativo. Se, infatti, da un lato su tutti i campi di A e di B ogni 25 novembre o giù di lì, in occasione della Giornata Mondiale per l’eliminazione della violenza contro le donne, i giocatori scendono in campo con un segno di rossetto rosso sul viso, dall’altro non c’è nessuna regola che impedisca alle società di mettere sotto contratto o di tenere in rosa un giocatore che è stato condannato in via definitiva o è sotto processo per violenza o stupro. E tanti club hanno mostrato di non aver alcun timore di sorta (o ritegno?) a farlo. I casi di Boateng, Nandez e Gudmundsson, o dello stesso Cristiano Ronaldo (alle cui accuse la Juventus reagì dicendo «è un grande professionista», come se il merito sportivo escludesse tutto il resto) -solo per citare i primi che vengono in mente- lo stanno a dimostrare.

Un caso (italiano) particolarmente eclatante riguarda Manolo Portanova, il calciatore della Reggiana che, dopo essere stato condannato in primo grado a sei anni per violenza sessuale di gruppo, ha continuato tranquillamente a scendere in campo. Anche perché nel frattempo il Collegio di Garanzia del Coni, chiamato a decidere sul futuro calcistico del giocatore, aveva rinviato pilatescamente la causa alla Corte d’Appello Federale, che, a sua volta, il 13 marzo scorso congelava tutto. Come dire a data da destinarsi, visto che il verdetto sul giocatore resterà in sospeso «fino alla formazione del giudicato in sede penale» (fino al terzo grado di giudizio), scrivono i giudici dell’Appello Figc.
Viene da chiedersi se questi calciatori subirebbero lo stesso trattamento se le accuse fossero di altra natura, tipo un furto: le società li farebbero giocare lo stesso? Per non parlare poi di quanto potrebbe cambiare la valutazione in base alla nazionalità dell’accusato, ma lasciamole come domande aperte.

Tornando alla Liga spagnola, il campionato in cui è stato “parcheggiato” Greenwood nel 2023/24 e in cui milita Rafa Mir, recentemente accusato di violenza sessuale. È di settembre la notizia dell’esistenza di un contratto pre-sesso che i calciatori della Liga farebbero firmare alle proprie partner, occasionali e non. Il contratto è stato reso pubblico sui social da Miguel Galan, presidente della Scuola allenatori spagnola, e ha alcune clausole, tra cui la VII che parla di «Accidental violation», di fatto una contraddizione in termini, che allude alla possibilità che un uomo, durante il rapporto, muovendosi, potrebbe «senza intenzione, penetrare un orifizio femminile non reso precedentemente disponibile per attività sessuali dal suddetto contratto». E prevede la possibilità che il tutto venga considerato come «un incidente», spuntando la casellina «consenso retroattivo». Se non è normalizzazione di un rapporto non consensuale questa!

Ad ogni modo, fa specie che ciò avvenga in Spagna, un Paese che ha una normativa molto chiara sulla violenza di genere: per semplificare, il consenso in un rapporto è solo esplicito. In terra iberica solo “sì” significa sì, tutto il resto significa “no”, ovvero non consensualità; in Italia, invece, è tutto più sfumato e questo fa sì che anche a livello giuridico venga alimenta il victim-blaming, ovvero la colpevolizzazione della vittima. Cosa che già accade a livello culturale.
Spagna che, peraltro, ha condannato Dani Alves e cacciato il presidente della federcalcio Rubiales dopo il bacio a Jennifer Hermoso. Ma su questo torneremo nella prossima puntata.

daniele e federico

Nell’immagine in evidenza: Reggio Emilia, agosto 2023, proteste contro il tesseramento di Portanova da parte della Reggiana