Alcuni anni fa, nel capitolo di Calcio (poco) romantico dedicato all’Africa, scrivemmo che, vista da lontano, la Confederazione Africana di Football, sembrava ancora rappresentare un universo a parte,

un mondo di cui la Coppa d’Africa offre uno squarcio. Uno squarcio che sa di strana autonomia dalla FIFA, visto che con cadenza biennale la manifestazione continentale riesce a sottrarre a molti club europei (nei mesi di gennaio o febbraio) molte delle stelle africane, con interminabili diatribe sul loro stato di forma al ritorno.

Era il 2016, da cinque anni avevamo dato vita a questo blog e quel mese invernale riservato negli anni dispari al calcio africano ci sembrava un’occasione d’oro per spostare la nostra attenzione su un continente che veniva sempre raccontato in subordine a quell’altra parte di mondo “civilizzato” che l’aveva occupato, sfruttato e depredato per secoli.
Questa incursione in Coppa d’Africa era per noi un diversivo, quanto ad argomenti toccati, che, però, ben si inseriva nel nostro modo di raccontare il calcio. E poi ci piaceva tanto questo strano tipo di resistenza verso il gotha del mondo del pallone che la CAF e le federazioni nazionali africane mettevano puntualmente in atto ogni due anni, d’inverno.

Poi è arrivata l’edizione del 2019 e con essa le decisioni della CAF di confermare la cadenza biennale, di allargare da 16 a 24 squadre la fase finale, ma di spostare la disputa della competizione nei mesi di giugno-luglio per venire incontro alle richieste/esigenze dei club europei. Un colpo basso alla nostra visione un po’ idealizzata della CAF “baluardo contro la FIFA” e un problema di conseguente deficit attentivo: in contemporanea c’era il Mondiale femminile e poi, a fine stagione calcistica, non c’è quella smania di vedere partite che c’è a gennaio. Siamo così passati da una fitta copertura delle edizioni 2013, 2015, 2017 a un racconto abbastanza distaccato e poco approfondito della vittoria algerina del 2019.
E poi un dubbio ci assillava: come si fa a disputare la Coppa d’Africa a giugno-luglio? Non si va incontro a problemi legati alla calura e all’umidità?

Il torneo che sta per partire e che finirà il 6 febbraio 2022 ci ha dato una (parziale) risposta. Serve, però, un breve riassunto.
Il Camerun doveva ospitare la Coppa d’Africa 2019 (la prima da svolgere a stagione finita in Europa), ma un cospicuo ritardo nell’allestimento delle infrastrutture ha spinto i vertici del calcio africano a spostare la manifestazione in Egitto. Poco male, i Leoni indomabili sarebbero stati Nazionale ospitante in occasione dell’edizione successiva, inizialmente prevista per il 2021 e poi spostata al 2022 causa pandemia. Ma prima ancora che il Sars-Cov2 arrivasse a scompaginare i piani calcistici anche al di là del Mediterraneo, ecco il 15 gennaio 2020 i vertici della CAF intrattenersi in amichevole colloquio con rappresentanti del governo camerunense e del comitato organizzatore della manifestazione. Sul piatto la richiesta da parte del paese ospitante di non giocare a giugno-luglio, periodo caratterizzato da «unfavourable climatic conditions». Non è tanto la temperatura, quanto la gran quantità di pioggia che cade in quel periodo a Yaoundé e dintorni. Del resto siamo ai tropici…
La richiesta viene accolta e così, dopo una sola edizione, ecco ritornare – giustamente – la Coppa d’Africa in inverno, proprio quando i campionati nazionali in Europa sono in pieno svolgimento.
Cosa succederà nelle prossime edizioni non sappiamo dire: nel 2023 si dovrebbe tornare all’anno dispari e alla collocazione giugno-luglio, anfitrione sarà la Costa d’Avorio. Di certo, però, il precedente del 2022 fa capire che un paese dell’Africa centrale non può ospitare una manifestazione calcistica così importante per l’intero continente in un periodo dell’anno in cui il tempo è decisamente inclemente.

Intanto, come se la decisione di giocare in Camerun a gennaio fosse stata presa l’altroieri e non due anni fa, ecco tanti club europei lamentarsi, mettersi di traverso nella concessione di questo o quel giocatore. Il tutto dando per assodato che un incontro di Serie A o di Eredivisie è più importante di un match tra Nazionali valido per un torneo africano, e che anche i calciatori dovrebbero pensarla così visto chi è che li paga.
E mentre Haller, l’attaccante dell’Ajax attuale capocannoniere in Champions League, in una intervista per il De Telegraaf si dice orgoglioso di poter difendere i colori della Costa d’Avorio e chiede maggior rispetto per l’Africa, a noi resta l’ingrato compito di mettere in luce come ricatti basati sul rapporto di lavoro e razzismo di fondo vadano sempre d’accordo. Indipendentemente da quale sia il compenso per chi offre i suoi servigi.