Il 17 luglio di 25 anni fa a Pasadena Italia e Brasile si affrontarono nella finale più calda della storia dei Mondiali maschili, purtroppo solo in senso metereologico visto che le emozioni furono ben poche e non ci fu neanche il lieto fine. La rassegna  iridata era durata 31 giorni ed aveva invaso il mese di luglio, ma era la Coppa del Mondo e una volta ogni quattro anni, precisamente negli anni pari non olimpici (o, se preferite, in quelli congrui 2 modulo 4), aveva senso prolungare la già lunga stagione calcistica fin dentro l’estate.
Il successivo passaggio da 24 a 32 squadre nella fase finale ha aumentato il numero dei match da guardare, ma non la durata e, così, dal 1998 oltre il 15 luglio una finale del Mondiale non è stata mai giocata. Certo, nel frattempo il passaggio da 16 a 24 delle squadre ammesse alla fase finali degli Europei, ha fatto diventare il mese di luglio degli anni pari olimpici (o, se preferite, di quelli multipli di 4) quasi altrettanto importanti, cosa che, con la ripartenza più o meno a metà agosto di alcuni importanti campionati europei come Premier o Bundesliga, ha fatto sì che una volta ogni due anni le “ferie” dal pallone (anche sportivamente parlando, nel senso di periodo dedicabile ad altre discipline) diventassero di una trentina di giorni circa.

Ni un dia sin futbol, nessun giorno senza calcio, minacciava lo spot di una tv spagnola, e che la FIFA avesse questo come obiettivo era ben chiaro. Ma, siamo sinceri, non ci saremmo aspettati una tale ipertrofia di calcio internazionale nel periodo giugno-luglio del 2019, anno dispari e, quindi, di riposo rispetto alle fatiche anche mentali che Mondiali o Europei portano con sé.
Alla consueta attenzione biennalmente data agli Europei Under 21 avevamo aggiunto consciamente la volontà di seguire Francia 2019 per conoscere più da vicino il mondo del calcio femminile. Ma tra fase finale della Nations League, occhiate da dare agli azzurri che erano arrivati in fondo agli Europei Under 16 e ai Mondiali Under 20, Copa América in Brasile e Coppa d’Africa allargata a 24 e spostata nel calendario al principio dell’estate, a un certo punto ci siamo trovati assediati, con il risultato che il “Sudamericano” è stato completamente sacrificato (senza troppi rimpianti ex post, visto il modo in cui Bolsonaro si è appropriato della vittoria verde-oro) e lo spazio dato alla nostra beniamina Total Africa Cup of Nations è stato davvero poco. Con il timore che ogni anno dispari a venire vedrà concentrarsi troppe manifestazioni internazionali nel periodo in cui il calcio dei club va in ferie.

Ad ogni modo, visto che Algeria-Senegal la consideriamo l’ultima partita della stagione 2018/19, proviamo a fare un piccolo riassunto di tutte le cose non scritte in questo mese. In particolare, ci eravamo chiesti se l’Under 21 sarebbe riuscita a rompere il digiuno di vittorie internazionali dell’Italia. La risposta è stata no, a causa di una pessima partita contro la Polonia, ma forse anche di una eccessiva confidenza dopo la vittoria iniziale contro la Spagna, a nostro parere frutto di episodi più che di una reale superiorità azzurra. A vincere sono stati proprio gli iberici, che hanno raddrizzato il loro europeo a pochi minuti dal termine del match con il Belgio e poi hanno distrutto Polonia, Francia in semifinale e Germania in finale. Permettendo, inoltre, a Fabian Ruiz di vincere il premio come miglior giocatore.
Il dato più importante, però, è che in una fase finale a 12 non si può ripescare solo la migliore delle seconde: come nel 2017 è uscita dal girone C, l’ultimo a concludere il proprio cammino e non può essere un caso. Formula da ripensare. Certo, fare andare avanti le prime due e ripescare le due migliori terze ti può portare a situazioni come quelle viste in Copa América anche quest’anno, ovvero Uruguay, primo nel suo raggruppamento, perde ai rigori contro il Perù, terzo… ma se oltreoceano aggiungessero almeno i supplementari le cose potrebbero andare diversamente.

Chiudiamo con la rassegna africana. Con l’Egitto padrone di casa sconfitto agli ottavi, con la squadra simpatia Madagascar eliminati ai quarti, a giocarsi le semifinali sono arrivate quattro squadre con all’incirca le stesse possibilità di vincere. Tra rigori sbagliati (da Sassi e da Saivet nei tempi regolamentari di Senegal-Tunisia), autoreti (Bronn, decisiva nel supplementare di Senegal-Tunisia e Troost-Ekong all’inizio di Algeria-Nigeria) e punizioni salvifiche (quella di Mahrez al quinto di recupero è valsa il definitivo 2-1 sulla Nigeria), si è arrivati alla finalissima, il 19 luglio! Una partita condizionata sin dal 2′ da un quasi autogol, ovvero da una rete scaturita da un tiro di Bounedjah deviato da Salif Sané -in campo per Koulibaly, squalificato- e solo guardato da Gomis. Un’Algeria che, di conseguenza, si è chiusa e ha gestito senza troppi patemi il vantaggio che ha portato i nordafricani al secondo titolo continentale: da Madjer a Mahrez, si potrebbe dire. Per i leoni della Teranga, alla seconda finale persa su due disputate, il tabù Coppa d’Africa rimane.
In realtà, un momento di panico in area algerina si è vissuto, con l’arbitro camerunense Alioum che al quarto d’ora della ripresa ha fischiato rigore per un tocco di mano di Guedioura su cross di Niang. Per fortuna il VAR ha fatto notare al direttore di gara che il braccio era attaccato al corpo: finale brutta sì, ma viziata da grave errore arbitrale no.
Un monito, già lanciato dal Mondiale femminile, su quanto, a partire dalla prossima stagione, ci sarà da discutere sui tocchi di mano.

federico