I Mondiali di atletica leggera 2019 sono stati una finestra su quello che potrebbe accadere da lì a tre anni a Doha e una scusa per approfondire alcune delle criticità che avrebbero dovuto/potuto portare alla riassegnazione dei Mondiali di calcio del 2022. Per questo vi presentiamo una sorta di articolo lungo diviso in parti, che poi è ispirato a quanto detto su Lautoradio in occasione della prima puntata della seconda stagione del nostro programma radio-web La Fascia Sinistra.
Qui la PRIMA PARTE.
Il caldo.
Ai Mondiali di atletica leggera di Tokyo del 1991 le gare su strada furono spostate di mattina per ridurre al minimo gli effetti che l’inquinamento atmosferico della megalopoli giapponese poteva avere sui concorrenti. Così, l’ultima giornata della manifestazione, che aveva regalato agli appassionati europei tante mattine indimenticabili (una su tutte quella in cui Powell batté Carl Lewis e lo storico record di Beamon nel salto in lungo), partì quando in Italia erano le 23. Gelindo Bordin, campione olimpico in carica, non andò oltre l’ottavo posto e poco meglio fece Bettiol, ma per chi scrive quella fu la prima maratona seguita in TV dallo sparo fino al 42195esimo metro. Per questo, all’annuncio che anche le gare su strada dei Mondiali numero 17 sarebbero partite nella notte europea, la mente è andata a quel Mondiale giapponese, lontano nel tempo ma ancora vivo nel ricordo.
Anche a Doha, dietro al ricollocamento orario delle gare su strada, ci sono stati motivi di opportunità climatica: in Qatar c’è il deserto e -guarda un po’!- in pieno deserto fa caldo. Sarebbe allora da chiedersi perché la IAAF ha assegnato all’emirato la manifestazione sportiva più importante dell’anno dispari che, tra l’altro si disputa abitualmente a fine agosto… Poi uno legge le dichiarazioni rilasciate dal presidente della federazione, Sebastian Coe, poco prima dell’inizio del Mondiale («This has given us the opportunity […] for our medical teams and our health and science teams to actually understand a great deal more about the management of heat for athletes going forward») e capisce che è meglio lasciar perdere.
Così, per “accontentare” chi ha voluto questa grossa opportunità e allo stesso tempo provare a ridurre gli effetti del caldo, tutte le gare in programma e non solo quelle su strada hanno subito un doppio slittamento.
Innanzitutto, per la collocazione della kermesse iridata a fine settembre-inizi ottobre, ovvero a un mese di distanza dalla fine della stagione dei meeting che di solito porta gli atleti in forma per il Mondiale (il parallelo con Qatar 2022 e il suo posizionamento a novembre-dicembre è talmente immediato che non vale la pena spendere una parola in più)[1].
In secondo luogo perché tutte le gare sono state disputate più tardi del solito all’interno della giornata. Infatti, all’interno del Khalifa Stadium la sessione “mattutina” andava in scena di pomeriggio e tra questa e la sessione serale c’era solo l’intermezzo di qualche premiazione, con la conseguenza che le ultime finali su pista erano alle 22:30 ora locale. Le gare su strada partivano, invece, direttamente di notte. Per fortuna, tra Europa e Qatar c’erano uno-due ore di differenza e, quindi, il prime time era salvo…
Ma poi come è andata a finire?
Magari non siamo esperti metereologici, ma così a naso tra fine agosto e fine settembre non è che in pieno deserto le temperature dovrebbero cambiare molto. Quindi, è legittimo domandarsi se alla fine tutti questi slittamenti sono serviti.
Per trovare condizioni atmosferiche degne o per lo meno accettabili per una maratona o una 50 km di marcia decisamente no. I dati sono impietosi: maratona femminile, partenza mezzanotte ora locale del 27 settembre, temperatura intorno ai 32°C, umidità superiore al 70%; partite in 68, arrivate in 40; tempo della vincitrice Ruth Cheptngetich 2h32’43”, più alto di tutti quelli fatti segnare dalle precedenti sedici vincitrici. Per fortuna, seganala la IAAF, nessuna delle trenta atlete visitate dal centro medico è stata poi trattenuta in ospedale…
Giorno dopo, 50 km di marcia, con donne e uomini che hanno gareggiato insieme anche se per titoli distinti. Situazione climatica simile, ma atleti che hanno preso qualche precauzione in più e i ritirati alla fine sono stati meno in percentuale. Tempi comunque altissimi. Quello che fa specie è che due anni fa Coe aveva osteggiato la disputa della 50 km di marcia al femminile, considerandola di fatto una specialità dagli scarsi contenuti tecnici e poi ha fatto correre le atlete in condizioni proibitive!
Per fortuna degli organizzatori, le temperature si sono abbassate un po’ nel secondo week end e così la maratona maschile si è corsa in condizioni discrete.
Quello che, però, davvero ha sconvolto è quanto accaduto, in termini di prestazioni, all’interno dello stadio. Gare tiratissime, tempi e lanci che non si vedevano da tempo in molte discipline e tanto spettacolo… per i pochi sugli spalti. Come è stato possibile? Con tutto quel caldo!
E qui arriva il coup de théâtre: per permettere agli atleti e alle atlete di gareggiare in condizioni ottimali circa tremila grossi bocchettoni sparavano con continuità aria all’interno della struttura. Lo stadio era condizionato! Una trovata che al Khalifa era stata già sperimentata nella tappa di Diamond League a maggio 2019 e un mese prima ai giochi asiatici, ma che non aveva precedenti in altri stadi del mondo, come ribadisce la Gazzetta dello Sport. In effetti, anche noi non abbiamo contezza di altre situazioni del genere. Abbiamo solo in mente stadi che si chiudono per far sì che la temperatura sia più mite. Non sappiamo neanche quanto questa trovata sia costata in termini di energia e impatto ambientale. Siamo però sicuri che fra tre anni un buon numero degli stadi impiegati per il Mondiale FIFA avrà questo mega impianto interno.
Alla radio della svizzera italiana RSI un componente della delegazione rossocrociata parlava di 26°C in pista e di 21°C nella zona interviste, mentre per le vie di Doha a mezzanotte c’erano 32°C e, immaginiamo, almeno 4°-5°C in più di pomeriggio. La cosa curiosa era, però, che il campo di attesa pre-gara era fuori dall’area condizionata e, quindi, fare una seria corsetta di… riscaldamento poteva davvero costare la vita.
federico
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[1] Gare di atletica disputate non in estate in una grande manifestazione non sono comunque una novità assoluta. Ad esempio, alle Olimpiadi di Seul nel 1988 andarono in scena tra il 25 settembre e il 2 ottobre e a quelle di Sydney nel 2000 tra il 22 settembre e il 1° ottobre. Alle Olimpiadi di Melbourne si disputarono, invece, durante l’estate australe [dal 22 novembre all’8 dicembre 1956]