Tra marzo e maggio abbiamo fatto una serie di riflessioni in merito a come veniva narrato in pieno lockdown tutto ciò che aveva a che con lo sport agonistico, l’attività fisica, etc. Adesso che il mondo sportivo ad alto livello ha provato a recuperare in toto o in parte la sua stagione 2020 e prova a imporsi come una specie di mantra la “normalità”, cerchiamo di capire come è narrato al suo interno il nuovo diffondersi del Covid-19. 

14 ottobre 2020. L’Eurolega di basket comunica che lo Zenit San Pietroburgo perderå a tavolino 20-0 il match previsto il giorno prima contro il Baskonia, a Vitoria, e quello del giorno successivo a Valencia. Motivo? La squadra russa ha molti dei giocatori utilizzabili in Eurolega positivi al Covid, tanto che non riesce a metterne insieme neanche otto, il minimo previsto per giocare[1]. L’avere numerosi con il virus è dunque giudicata una colpa.
Eppure chi organizza la massima competizione per club del basket europeo ha imparato sulla propria pelle quanto devastante possa essere questa pandemia, dato che l’edizione dell’Eurolega 2019/20 è rimasta sospesa dal 6 marzo al 25 maggio e poi è stata dichiarata conclusa, senza vincitori, né vinti. Il fatto è che, se si desse la possibilità di recuperare le partite non giocate per troppe positività, andare avanti sarebbe impossibile: il calendario dell’Eurolega è, infatti, fittissimo, le squadre che vi giocano devono anche disputare i campionati nazionali e, quindi, non è possibile utilizzare il meccanismo delle bolle che ha permesso, ad esempio, alle leghe pro americane NBA, WNBA e NHL di riprendere quanto interrotto a marzo 2020 e portarlo a conclusione tra agosto e ottobre. E, intanto, il 15 ottobre anche l’ASVEL Villeurbanne ha dovuto rinunciare al match interno contro la Stella Rossa e, con i contagi in grande crescita in tutta Europa, ci si domanda quante altre volte questo accadrà e quanto l’Euroleague Basketball potrà continuare a ignorare la realtà della pandemia e parlare allo stesso tempo di competizione regolare e protocolli da rispettare.

La cosa che, però, stupisce è che non siamo davanti a una eccezione e che ci sono aspetti in comune con quanto deciso all’interno di molti altri sport. Ad esempio, l’idea che l’aver contratto il Covid.19 sia una colpa e che chi ha troppi positivi deve perdere a tavolino, è anche dietro l’esclusione dei qatarioti campioni in carica dell’Al Hilal dalla AFC Champions League a fine settembre. Il calcio europeo, che applica il protocollo UEFA, è più tollerante della AFC, nel senso che in casi simili a quello dell’Al Hilal c’è il rinvio e non la sconfitta a tavolino. Per questo, il Genoa, dall’alto dei suoi 17 giocatori positivi, non ha perso 0-3 a tavolino la partita contro il Torino, inizialmente prevista il 3 ottobre. Se va tutto bene il match potrà essere giocat a breve, il 4 novembre, ma solo perché rossoblù e granata le coppe le vedono solo in TV, altrimenti trovare un buco libero nel calendario internazionale sarebbe complesso. Infatti, nel programmare gli impegni, la FIFA, le varie confederazioni e le singole federazioni nazionali non hanno rinunciato ad alcuna competizione e non ne hanno cambiato i format, se non altro per cercare di ridurre il numero di match da giocare e lasciare più possibilità di recuperare partite rinviate. Caso mai scoppiasse una pandemia che, a macchia di leopardo, imponesse a tanti giocatori stop forzati…

L’altra decisione fuori dal mondo è stata quella di lasciare invariate le microfinestre per le Nazionali: invece di pensare a uno stop di uno-due mesi dedicato a qualificazioni varie con la modalità bolla che comunque in estate ha funzionato e ha permesso la conclusione anche della Champions League 2020, abbiamo visto a settembre e nella prima metà di ottobre (e forse vedremo anche a novembre) giocatori che per una decina di giorni vanno in giro per l’Europa e per il mondo, prima di tornare in sede. E questo nonostante abbiano casi di positività nei propri club.
Chi lavora nel mondo della scuola, se risulta positivo un proprio alunno, deve andare in isolamento fiduciario per dieci giorni, senza la possibilità di uscire. Invece, il mondo dello sport racconta a se stesso (e fa finta di crederci) che non esiste un periodo di incubazione del virus. Mi spiego: se viene scoperto un positivo in squadra, ognuno dei suoi compagni dovrebbe attendere il decimo giorno dall’ultimo contatto e un tampone negativo in quel momento per poter concludere di non esserne contagiato. Almeno in base a quanto accade al di fuori. Invece, i giocatori vengono sottoposti subito a tamponi e considerati schierabili in caso di negatività. Con il pericolo che da lì a qualche giorno diventino positivi e, nel frattempo, abbiano contagiato qualcun altro.
Di contro, il Napoli che, viste alcune positività dei suoi, ha volontariamente seguito un protocollo simile a quanto accade al di fuori, non è andato a Torino il 4 ottobre per giocare contro la Juventus e si è messo in isolamento fiduciario a Castel Volturno, ha avuto la partita persa 3-0 a tavolino dal Giudice Sportivo perché non ha rispettato il protocollo stabilito della FIGC. Ora, se la decisione può essere considerata leguleiamente corretta, è il protocollo che va contro il senso di realtà perché in fondo il Napoli ha messo in primo piano la salute, anche generale, impedendo a possibili futuri positivi di andarsene in giro, ma macchiandosi così della colpa di avere paura della malattia. Qualcosa che non si può fare senza andare incontro a problemi “contrattuali”: chissà, infatti, cosa ha pensato chi aveva i diritti TV di fronte a un prime time domenicale andato in fumo, ma chissà anche quanti e quante, che lavorano in tanti ambiti diversi, meno in vista del mondo del pallone, vanno incontro a problemi in caso di paura di contrarre o di aver contratto la malattia sul posto di lavoro.

Anche al Giro d’Italia il ritiro della Jumbo-Visma, avvenuto senza rispettare il protocollo[2], potrebbe portare a una coda legale, come minacciato dal direttore della corsa Vergni ai microfoni Rai. E a proposito di giornalisti della TV di Stato al seguito dell’importante gara a tappe, vogliamo chiudere dando conto di un aspetto della narrazione del Covid-19 che sta dando chi in questo momento sta raccontando il mondo dello sport, qualcosa che fa cadere un po’ le braccia, per il senso di irrealtà mostrato e che, dietro la retorica della volontà di ripartire, rischia di avallare indirettamente le miopie sopra citate: in apertura della trasmissione Anteprima Giro il 10 ottobre 2020, Francesco Pancani esordisce presappoco così:

Un fulmine a ciel sereno ha colpito il Giro d’Italia. Simon Yates è risultato positivo al Coronavirus

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[1] Ricordiamo che non è la FIBA, la federazione internazionale, a gestire la competizione, ma la compagnia privata Euroleague Basketball
[2] Il protocollo UCI prevede che in caso di positività di due corridori la squadra si debba ritirare in blocco. Per la Jumbo-Visma il solo Kruijswijk è risultato positivo al tampone il 12 ottobre, ma la squadra ha preferito lasciare il Giro spiegando che, avendo condiviso l’hotel con la Mitchelton-Scott, all’interno della quale sono stati trovati quattro positivi, immaginava che il numero di contagiati sarebbe aumentato con il passare dei giorni