Storia dei risultati internazionali delle Nazionali africane. 4° puntata: Coppa d’Africa 1968-1974, Mondiale 1974

Secondo Padre Raphaël de la Kethulle de la Ryhove, missionario dell’Ordine del Cuore Immacolato di Maria di stanza nel Congo Belga, il pallone aveva un potere pacificatore, se non addirittura un ruolo centrale nella pia opera di conversione degli autoctoni. Il gioco del calcio induceva, infatti, «i negri [a] tenere a freno la loro passione innata per la lotta» e gettava le basi per stabilire con loro un dialogo.1 Questa visione, per così dire, spiritual-pragmatica aveva di riflesso fatto sì che in quella regione dell’Africa Centrale vi fosse una federazione calcistica sin dal 1919 e un campionato sin dal 1923.
Il primo tentativo di colpo di stato di Mobutu, la secessione del Katanga e i contrasti interni avevano, però, permesso all’attuale Repubblica Democratica del Congo di affiliarsi alla CAF solo nel 1964, ben quattro anni dopo l’indipendenza dal Belgio. I tempi non erano dunque maturi quando la Nazionale dell’allora Congo-Leopoldville, pur non avendo disputato le eliminatorie, fu invitata alla fase finale della Coppa d’Africa del 1965 in sostituzione della R.A.U., che aveva rinunciato alla qualificazione ottenuta sul campo, e del Sudan, che non aveva voluto sostituire gli egiziani.
Un pareggio e due sconfitte furono il magro bottino della spedizione, ma l’esperienza calcistica accumulata sotto il dominio belga si sarebbe rivelata ben presto utile per i congolesi… e per Mobutu che nel novembre 1965 riuscì laddove alcuni anni prima aveva fallito e instaurò un regime autoritario, paternalista e tradizionalista.2

1967, il Tout Puissant Englebert

Il primo successo per il movimento calcistico del Congo-Leopoldville, anzi del Congo-Kinshasa visto che nel frattempo la capitale aveva cambiato nome, arrivò nel novembre 1967, quando il Tout Puissant Englebert, oggi meglio noto come Tout Puissant Mazembé, si impose nella terza edizione della Coppa dei Campioni d’Africa. E prima che il club si confermasse campione a inizio 1969 la Nazionale ottenne un successo ancor più importante.
Quella del 1968 fu forse la prima vera Coppa d’Africa per diffusione. Furono addirittura sei i gruppi di qualificazione messi su dalla CAF, organizzati secondo un criterio di vicinanza geografica per diminuire i costi e permettere un’equa distribuzione delle qualificate su tutto il continente. Venti le Nazionali coinvolte, otto -e non sei come nelle tre edizioni precedenti- le ammesse alla fase finale in Etiopia.
Tra queste il Congo-Kinshasa che si ritrovò come avversarie nel girone di Asmara l’altro Congo, il Ghana e il Senegal. I leopardi, noti con questo soprannome anche per via dell’ossessione di Mobutu per il felino maculato, regolarono i “cugini” per 3-0, persero 2-1 contro i ghanesi bicampioni in carica e, infine, sconfissero 2-1 il Senegal, ottenendo così il secondo posto nel girone che voleva dire semifinale sì, ma contro la padrona di casa Etiopia, prima nel raggruppamento di Addis Abeba. Quello che poteva già considerarsi un ottimo traguardo si rivelò, invece, un trampolino di lancio. Contro l’Etiopia i congolesi si portarono subito avanti di due gol, subirono la rimonta propiziata dai gol degli inossidabili Luciano Vassallo e Menghistu Worku, ma ai supplementari un gol di Mungamuni diede loro la vittoria. In finale, poi, arrivò la rivincita contro il Ghana, sancita da una rete dell’attaccante del Tout Puissant Mazembé Pierre Kalala Mukendi.

Per la definitiva consacrazione a livello continentale e la rovinosa caduta mondiale il Congo-Kinshasa, divenuto ormai Zaire, avrebbe dovuto aspettare sei anni. In mezzo due Coppe d’Africa senza troppi squilli e un appuntamento da non fallire.
Nel 1970 il Sudan, alla sua seconda occasione da paese organizzatore, non si lasciò sfuggire il trofeo. Assente il Marocco, appena qualificatosi per Messico ’70, l’avversario da battere fu il solito Ghana che, però, si arrese in finale come nell’edizione precedente. 1-0 il risultato, gol di El-Issed.

1970 Salif Keita riceve il Pallone d’Oro Africano

Nel 1972 vinse, invece, l’altro Congo, quello con capitale Brazzaville. La fase finale si tenne in Camerun, che onorò questa sua prima partecipazione giungendo terzo. Chi però nella fase a eliminazione diretta fece davvero divertire fu il Mali, che schierava tra gli altri un acciaccato Salif Keita, primo Pallone d’Oro Africano, due Coppe di Francia e tre campionati vinti, 125 reti segnate (in 149 match) in cinque anni al Saint-Etienne, nonché «zio all’africana» del futuro giocatore di Roma e Barcellona Seydou Keita.3 I maliani batterono 4-3 ai supplementari in semifinale lo Zaire, grazie a un gol vincente di un altro Keita, Fantamady. Nella finale con il Congo andarono in vantaggio per primi, ma presero tre gol tra il 57′ e il 63′; provarono poi a rimontare, fermandosi, però, solo al 2-3.

E venne così il cruciale 1974. Per la seconda volta l’Africa aveva un posto riservato nella Coppa del Mondo FIFA, a disputarselo ben ventiquattro Nazionali. Le qualificazioni, che durarono dal giugno del 1972 al novembre del 1973, prevedevano tre turni a eliminazione diretta con partite di andata e ritorno e un girone finale a tre. Lo Zaire ebbe nell’ordine la meglio su Togo, Camerun e Ghana, poi batté due volte lo Zambia e una volta il Marocco nel girone finale: sarebbe stata la prima squadra a rappresentare l’Africa subsahariana a un Mondiale.
I leopardi, per la comprensibile gioia di Mobutu, non si fermarono qui. Non sottovalutarono, infatti, le qualificazioni per la Coppa d’Africa e prima di piazzare la doppia vittoria su Zambia e Marocco che avrebbe fatto staccare loro il biglietto per Germania ’74, ebbero la meglio sul Camerun rimontando con gli interessi a Kinshasa la sconfitta rimediata a Yaoundé.
La fase finale andò in scena nel mese di marzo in Egitto, tornato nel frattempo a chiamarsi così. Una sconfitta col Congo nel girone eliminatorio spedì lo Zaire a giocarsi la semifinale contro i padroni di casa. Dopo 54′ l’Egitto era avanti di due gol, complice anche un’autorete di Mwepu Ilunga: sì, proprio colui che per vera paura (e non certo per ignoranza delle regole) avrebbe inventato di lì a pochi mesi dopo la punizione a rovescio. Ma non si era ancora in Germania Ovest e lo Zaire, trascinato da N’Daye -per lui ben 9 gol a fine torneo-, seppe rimontare e vincere 3-2. La finale contro lo Zambia fu lunga. Il 2-2 agguantato a fil di sirena dallo zambiano Sinyagwe costrinse le squadre alla ripetizione due giorni dopo, unico caso nella storia della coppa. Nel replay, però, i leopardi furono più attenti e regolarono gli avversari 2-0.

Con tutte ambizioni e le speranze del caso i giocatori dello Zaire presero la volta della Germania Ovest. Mobutu li aveva trattati come stelle prima della partenza, li aveva caricati di grande responsabilità per le solite storie dell’immagine del paese all’estero e aveva promesso loro cose che si traducevano in “non dovremo più preoccuparci per la nostra sussistenza in futuro”. Cosa successe poi tra l’onorevole sconfitta per 2-0 rimediata all’esordio contro la Scozia e la debacle contro la Jugoslavia non è chiarissimo. Ci fu del malumore nello spogliatoio, originato probabilmente dalla questione premi. Fatto sta che il padre padrone dello Zaire arrivò a minacciare i suoi di non farli tornare vivi se avessero preso quattro o più gol dal Brasile nell’ultimo match in programma. Da qui la punizione al rovescio di Ilunga e tutte le narrazioni successive. Cose di cui abbiamo già parlato altrove.
Per questo preferiamo chiudere citando il racconto semiserio I bianchi non capiscono niente di calcio di In Koli Jean Bofane, in cui lo 0-9 subito nel match contro gli slavi è visto dall’ottica di Mbuta Kimvuila, lo stregone al seguito dei leopardi in terra di Germania, e in cui l’antieroe è lo jugoslavo Blagoja Vidinić, allenatore dello Zaire dal 1972 al 1976. Perché in fondo «finché l’Africa continuerà a fidarsi dei bianchi, prima e durante le partite, finché disdegnerà i propri valori, non farà mai passi avanti».

Puntate precedenti: In principio fu l’Egitto, Sud Africa, no grazie, L’Africa conquista spazio
Puntata successiva: João e il destino dell’Africa