Trapattoneide – nona puntata

Ciao Paolo… I giocatori non dovrebbero andarsene prima degli allenatori

È il 10 dicembre 2020. Le agenzie di stampa hanno appena battuto la notizia che Paolo Rossi è morto, ad appena 64 anni, e l’ormai 81enne Giovanni Trapattoni lo saluta così. Tra il 1982 e il 1985, alla Juventus, insieme, avevano vinto tanto, in Italia e in Europa, ma non è all’attaccante che segnava spesso i gol decisivi che Trap sta dicendo addio e lo fa capire a tutti con un’estrema delicatezza e con un toccante doppio parallelismo allenatore/padre, giocatore/figlio.

Nell’intimo dello spogliatoio, la vera forza di Trapattoni era la capacità di trasmettere il suo modo di vedere il calcio attraverso un sapiente uso di parole e gesti. Questa simbiosi con il linguaggio, verbale e non verbale, da lui esperito è, però, divenuta un suo carattere distintivo anche all’esterno, nel momento in cui gli spazi in tv per i programmi calcistici si sono moltiplicati e con essi interviste dei protagonisti o analisi al microscopio di quanto avveniva in panchina. Cose che poi l’avvento di Youtube e degli altri social ha reso infinitamente riproducibili e condivisibili.
Delle iperboli, al limite di grammatica e sintassi, proposte spesso dall’allenatore milanese, abbiamo già parlato. Di come la lingua in cui esprimersi non fosse per lui un tabù, anche. Ci sono poi i fischi che distribuiva dalla panchina per richiamare l’attenzione dei suoi giocatori e il famoso spargimento dell’acqua santa che portò bene al Mondiale del 2002 nel match contro il Messico (il pareggio di Del Piero arrivò dopo l’apertura dell’ampolla e a soli cinque minuti dal 90′), ma nulla poté contro la Corea del Sud e Byron Moreno.

Parlavamo di simbiosi perché il modo di esprimersi e di comunicare del Trapattoni allenatore è stato sempre funzionale all’idea che voleva veicolare di sé: una persona genuina, che si sentiva emotivamente coinvolta dalla situazione che stava vivendo e, per questo, non aveva problemi a essere schietto, anche laddove questo comportava l’uso di parole “sconvenienti”. In rete gira, ad esempio, una intervista rilasciata da allenatore dell’Irlanda in cui dice che «in Italia si vuole l’uovo, il culo caldo e la gallina».
Si sa, però, che vicinanza e trasporto emotivo tendono a soddisfare (e autoassolvere) le proprie voglie, senza indagare se in diretta Rai non si possono oltrepassare alcune soglie. Ed è per questo motivo che il secondo non fruttuoso rapporto tra Trapattoni e la Nazionale, quello di commentatore ufficiale degli azzurri ai microfoni della tv di Stato, si interruppe dopo neanche un anno. Esordio a settembre 2015 per Italia-Malta; subito critiche per la poca professionalità o meglio per la sua interpretazione del ruolo come tifoso di eccellenza, più che freddo analista delle situazioni che propone il campo; e, poi, la ciliegina sulla torta, una serie di «P***a p*****a» e «P***o zio» detti in sottofondo nel corso dell’amichevole Germania-Italia del marzo 2016.

Dopo la notizia dell’imminente siluramento Rai, il Giovanni nazionale si produsse in dichiarazioni contro i “soloni laureati” che avevano sollevato il problema delle sue parolacce in diretta, parlando anche della differenza tra chi sa fare (e fa) e chi non sa fare (e, quindi, insegna). Una deriva da “università della vita” che non ci piace, nonostante l’affetto provato per il personaggio Trap.
Perché, detto, francamente, il Trap microfonato, ma seconda voce, era davvero poco adatto e non in linea con cosa gli veniva chiesto di fare. Non era certo l’emotività il suo limite (tra l’altro, la Rai attualmente è zeppa di telecronisti che appaiono parziali e decisamente poco lucidi (e inadatti) quando in gara ci sono gli azzurri o le azzurre di qualsiasi disciplina). Non aveva semplicemente i tempi e tutti i riflettori su di sé, come quando era in panchina o nello spogliatoio.

Trapattoneide – puntate precedenti:
5 settembre 1960: La sconfitta dal fondo del cappello
12 maggio 1963: Italia batte Pelé
Pippo e il Trap
La Juventus europea del Trap
26 ottobre 1986: Un atteso sbaglio di panchina
Gli ultimi successi italiani del “Vangelo di Giovanni”
Strunz è chi non lo capisce
Splendori e qualche miseria del Trapattoni estero