In ogni istante della nostra vita abbiamo
un piede nella favola e l’altro nell’abisso

Paulo Coelho

Quando negli anni scorsi, arrivati a dicembre, ci siamo ritrovati a tracciare un bilancio di quanto accaduto nei massimi tornei europei, il nostro sguardo, come quello di tanti altri che operano nel settore, si è innanzitutto rivolto a quei club che inaspettatamente nel proprio campionato nazionale occupavano una posizione di vertice. L’iperproduzione di narrazioni relative al Leicester City di Ranieri in fondo è nata così: a fine anno solare 2015 le Foxes erano in cima alla Premier e allora via con analisi e ricerche, convinti, o meglio, timorosi che in fondo a fine stagione avrebbero poi vinto i soliti noti.
Operare quest’anno allo stesso modo ci porterebbe diritto dalle parti di Nizza. Magari a cercar di capire se ha ragione la stampa italiana a parlare di Nizza di Balotelli, che ha sì un’ottima media realizzativa, otto gol in nove apparizioni, ma causa infortuni, squalifiche o scelte tecniche non è partito titolare in più di metà delle partite e questo non ha certo per ora impedito ai rossoneri nizzardi di issarsi in vetta alla Ligue 1.
Lasciata Nizza, la tappa obbligata sarebbe Lipsia per analizzare i meriti sportivi del RasenBallsport che per alcune settimane ha addirittura occupato in solitaria il primo posto della Bundesliga. Ma non è quello che vogliamo fare, perché il vero argomento caldo è nascosto dietro quell’acronimo, RB, che di fatto sta per Red Bull.

In realtà sarebbe più opportuno parlare di argomento “riscaldato”, visto che l’ascesa del club della multinazionale di Mateschitz era spunto di discussione, riflessione e, spesso, di indignazione già da alcuni anni in rete e sugli spalti degli stadi tedeschi. I tifosi del Borussia Dortmund, ad esempio, non si erano recati in trasferta in occasione dell’esordio casalingo della RasenBallsport in Bundesliga il 10 settembre scorso spiegando in un comunicato che per loro la società di Lipsia non era qualcosa di assimilabile, neanche lontanamente, alla loro idea di calcio.
Poi anche il “grande pubblico” italiano si è accorto dell’esistenza di questa RB Lipsia, grazie ai sorprendenti risultati ottenuti in questi ultimi mesi da Hasenhüttl e dai suoi, e così più di qualche volta abbiamo letto la parola «favola» accanto alla classifica della Bundesliga. Perché giocano bene, perché ci sono giovani interessanti, perché in soli sette anni sono riusciti ad approdare nella massima serie tedesca e quant’altro. Quando poi qualcuno fa notare che favola non è, scatta il benaltrismo: «Eh ma allora gli sceicchi e i cinesi? Almeno questi hanno investito bene i loro soldi». Vero, per carità, ma ci sono delle differenze che non possono non essere evidenziate e che ci hanno appunto quasi costretto a “riscaldare” il tema Red Bull.

Innanzitutto, quando degli investitori non europei acquisiscono una squadra di calcio europea non si sognano di cambiarne nome, stemma, colori sociali.[1] Nella gran parte dei casi ne diventano il main sponsor e/o cambiano il nome agli stadi, come han fatto le note compagnie aeree che influenzano le sorti di Manchester City, Arsenal o Paris Saint Germain, il presidente del Leicester City, gli statunitensi divenuti proprietari del Manchester United, eccetera eccetera. Anche queste pratiche sono figlie di un turbocapitalismo fastidioso e aggressivo, che mette a valore i brand delle varie squadre cercando di avere un ritorno d’immagine e/o lucrarci quanto più possibile.
Ma in fondo tutto ciò non è così diverso da un Berlusconi che inserisce il Milan nel suo curriculum di “uomo vincente” (era già calcio moderno, checché se ne dica) o, per fare un esempio più fresco, da uno Squinzi che dota il suo Sassuolo di un impianto con il nome della sua azienda acquistando lo stadio in cui era casa la Reggiana. Cosa che, per inciso, agli occhi dei puristi sposta il “signor Mapei” un gradino più su nella classifica di chi non rispetta la memoria storica, anche se in realtà i tifosi reggiani, più che le operazioni fatte dal patron del Sassuolo, stanno pagando l’avventatezza degli ex proprietari del club che costruirono l’attuale Mapei Stadium -primo impianto di proprietà in tutta Italia- e poi non riuscirono a gestirlo proficuamente, visto che ben presto la Reggiana salutò la Serie A.

Il simpatico Mateschitz

La Red Bull, invece, quando acquista smantella tutto, agendo di fatto come se fossimo di fronte a delle franchigie, che è poi il modello alla base degli sport professionistici americani per eccellenza, ovvero basket, baseball, hockey su ghiaccio e football americano. Il comportamento della multinazionale non creò del resto problemi a New York, quando nel 2006 una squadra con il nome della bibita soppiantò la Metro Stars, compagine in cui aveva militato anche Roberto Donadoni.
Ma nessuno si era mai azzardato a introdurre un tale modo d’agire nel calcio europeo. Il primo caso, benché meno conosciuto, va ritenuto il più dirompente. Nel 2005 la Red Bull giocò “in casa” rilevando la titolata SV Austria Salzburg, che al momento dell’acquisto poteva vantare tre titoli austriaci e una finale di Coppa UEFA persa nel 1994 contro l’Inter. La squadra aveva due volte cambiato nome nei precedenti trent’anni, per via delle sponsorizzazioni che si erano succedute, ma divenuta Red Bull Salzburg dovette anche subire il cambio dei colori sociali. I tifosi, dopo qualche protesta, riuscirono a raccogliere ben otto milioni di firme in tutto il Paese per mantenere almeno lo storico colore viola: ebbene, in tutta risposta il simpatico Mateschitz alla prima partita distribuì loro degli occhiali con le lenti viola per abituarsi alla transizione verso il biancorosso.

Inglobata l’Austria Salzburg, Mateschitz e soci pianificarono il loro sbarco in Germania e si orientarono subito verso l’ex DDR. Scartata Dresda e la Dynamo, magari per non avere a che fare con una poco presentabile tifoseria di estrema destra, virarono verso Lipsia. Capire il perché è piuttosto semplice.[2]
Forse anche per il suo ruolo nella riunificazione tedesca, Lipsia è una delle città dell’ex Germania Est in cui gli stravolgimenti post caduta del Muro sono stati più radicali. Circa centomila abitanti, la gran parte di essi in età lavorativa, si spostarono verso ovest all’inizio degli anni Novanta, un dato demografico che dice molto anche sulla situazione economica. Le conseguenze di tutto ciò coinvolsero anche le due storiche squadre di calcio della città. La Lokomotive, inizialmente approdata nella nuova Bundesliga, sembrava poter sopravvivere senza particolari problemi all’onda d’urto provocata dal crollo dalla riunificazione tedesca, ma nel 1995 fallì e fu costretta a ripartire dalle categorie minori. La BSG Chemie, invece, subì, a causa di gravi e ricorrenti problemi finanziari, ripercussioni ancora più grandi, morendo e risorgendo più volte nel giro di una ventina d’anni.
Intorno al 2000, però, la città iniziò a ripopolarsi e l’economia tornò a crescere. Questa ripresa, sommata alla presenza di uno stadio capiente e avveniristico (unico della ex DDR a ospitare partite valide per il Mondiale del 2006), però, strideva con il contesto calcistico che vedeva ancora le due grandi squadre locali arrancare nel dilettantismo.
Da qui la scelta della Red Bull di puntare forte su Lipsia per irrompere anche nel calcio tedesco.
L’intenzione iniziale era rilevare la prestigiosa BSG Chemie. La multinazionale ci provò già nel 2006, salvo sbattere contro il volere dei tifosi che scelsero di restare nel purgatorio delle categorie minori pur di mantenere il nome, i tradizionali colori biancoverdi e soprattutto la storia, legata in gran parte alla leggendaria stagione 1963/64. Così nel 2009 la Red Bull, quasi senza accusare il colpo, si orientò verso il Markranstädt, una piccola compagine della periferia che provò anche a resistere all’acquisizione, ma le proteste dei suoi pochi tifosi non riuscirono ad andare al di là di spargimenti di diserbante sul campo di gioco e qualche cartellone pubblicitario sfasciato.

Cos’è, quindi, che ci dà veramente fastidio quando leggiamo «favola» accanto alla storia del RasenBallsport Leipzig? O meglio, in cosa la Red Bull è peggiore dei vari sceicchi, cinesi, o chi per loro, pieni di soldi? Beh, quanto accaduto prima a Salisburgo e poi a Lipsia mostra con estrema crudezza che i vertici dell’azienda se ne sbattono dei tifosi – pochi o tanti che siano – della squadra che vogliono acquisire (addirittura umiliandoli, come nel caso dei citati occhiali viola) e che scelgono di attecchire lì dove possono sterrare tutto e più comodamente costruire l’oggetto dei propri desideri. In pieno accordo con i dettami del capitalismo reale.
Cosa ben peggiore del non rispetto per la storia altrui. Anche perché l’azienda austriaca, nel caso dell’approdo in Germania, non si è certo azzardata ad andare a stuzzicare realtà ben radicate, ha “saggiamente” scelto di sciacallare sulla ex DDR, mettendo sullo stesso piano il Markranstädt (con tutto il rispetto, poverini) e la BSG Chemie. Perché tanto l’importante era comprare una squadra a Lipsia, qualunque essa fosse, visto che c’erano condizioni favorevoli e uno stadio ultramoderno non utilizzato. No, se permettete, nonostante i bravi giovani, il bel gioco e quello che volete, tutto ciò è ben lungi dal «metterti le ali» e soprattutto dall’essere una favola.

daniele e federico

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[1] Considerando i maggiori campionati europei, finora ci ha provato solo il presidente egiziano dell’Hull City Assem Allan, nel gennaio 2014: voleva chiamare la squadra Hull Tigers per motivi di marketing, ma i tifosi glielo hanno impedito
[2] La parte che parla delle trasformazioni di Lipsia è tratta dal capitolo 8 del nostro libro Calcio (poco) Romantico