Appunti da Qatar 2022 per il futuro, per ricordare meglio cosa il Mondiale più controverso ha consegnato alla storia e alla cronaca. Terza puntata: Gli stadi del Mondiale
Quando nel dicembre 2010, con un anticipo di quattro anni rispetto al previsto, la FIFA di Joseph Blatter assegnò il Mondiale al Qatar, solo uno degli otto stadi che sarebbero stati utilizzati per l’evento era in funzione e aveva già subito lavori di ammodernamento: il Khalifa International Stadium di Doha, costruito nel 1976 e ampliato nel 2005 per venire incontro alle nuove strategie di politica sportiva dell’emirato del Golfo Persico che si preparava a ospitare i Giochi asiatici del 2006.
Uno stadio, quello di Al Rayyan, già esisteva, ma aveva bisogno di raddoppiare la sua capienza. Degli altri sei c’erano, invece, solo vaghi progetti. Che poi è uno dei motivi per cui quei quattro anni in più di preparazione rispetto al consueto erano, a dir poco, necessari. Del resto le rassegne sportive non si fanno mica dove le strutture ci sono già…
Varie inchieste e i report di Amnesty International hanno fatto capire quante vite sia costato costruire le infrastrutture necessarie, a partire proprio dagli impianti destinati a ospitare le partite. Tutto questo non ha, però, inciso sulla narrazione che Al Thani voleva dare al mondo del Mondiale che si era comprato: un torneo improntato a inclusività, rispetto per le tradizioni e sostenibilità ambientale.
Prendiamo, ad esempio, la cerimonia inaugurale. Per la prima volta nella storia della Coppa del Mondo di calcio si è tenuta una performance stile Olimpiade, anche se della durata di soli trenta minuti. Ospite d’onore Morgan Freeman (americano sì, ma black), che ha recitato con lo youtuber qatariota Ghanim al Muftah (colpito dalla nascita da una malattia genetica e, quindi, persona con disabilità) un «dialogo su inclusione, tolleranza e rispetto, quasi una risposta a tutte le polemiche che hanno preceduto l’edizione 2022», come riporta candidamente il sito di raiplay. Poi è arrivato il turno di La’eeb, la mascotte di Qatar 2022, un fantasmino tipo Casper che indossa un copricapo qatariota: immagine perfetta per una manifestazione accusata di aver già ucciso più di seimila lavoratori migranti.
Della narrazione voluta dall’emiro hanno partecipato anche gli stadi, soprattutto quelli costruiti ex novo: i luoghi in cui sono sorti, le loro forme, i loro nomi hanno rimandi che i solerti telecronisti Rai hanno spesso riportato senza la dovuta contestualizzazione o senza mettere in luce ipocrisie e paradossi veicolati.
In primis, l’Al Bayt, lo stadio di cerimonia d’apertura e partita di esordio. Denominazione e struttura si rifanno alle tende beduine usate per accamparsi nel deserto: il Mondiale è dunque una tenda all’interno della quale il mondo intero si ritrova e si rifugia. Nel solco del richiamo alla tradizione, troviamo anche lo stadio Al Thumama, a forma di shashia, che – spiega entusiasta Stramaccioni nel corso di Marocco-Portogallo – è il «copricapo che gli uomini indossano quando arrivano alla maggiore età». E diventano guardiani, aggiungiamo noi. Lo stadio Al Janoub ha, invece, la forma di una dau, barca a vela tipica della penisola araba usata dai cercatori di perle. Non si è capito se l’Iconic Stadium di Lusail abbia anch’esso una forma ispirata alla dau; di certo c’è che la scelta di disputarvi la finale è già di per sé iconica perché l’emiro Al Thani ha iniziato dal 2005 ad ampliare e ammodernare Lusail in modo che in futuro possa ospitare stabilmente investitori stranieri.
In fatto di rimandi all’immagine che il Qatar voleva dare di sé attraverso il Mondiale, il vero capolavoro è, però, rappresentato dallo stadio 974. Dario De Gennaro nel corso delle sue telecronache ha più volte ricordato (con il dovuto acritico entusiasmo) come il nome derivi dal numero di container impiegati per la costruzione della struttura, numero a sua volta significativo, visto che +974 è il prefisso telefonico per chiamare in Qatar dall’estero. Del resto lo stadio, a Coppa del Mondo terminata, verrà smantellato e ricostruito altrove. Destino simile avranno anche le «tribune in esubero», come le ha chiamate Rimedio in Croazia-Belgio, ossia tutti quei posti a sedere aggiunti per far sì che la capienza di tutti gli stadi arrivasse allo standard richiesto dalla FIFA e che poi verranno donate a stadi di non ben specificati “paesi poveri” nel mondo.
Si diceva poi della sostenibilità ambientale, «una partita che si può ancora vincere», come recita lo spot di una nota marca di automobili messo in onda in corrispondenza di ogni match o nella fascia pubblicitaria pre calcio di inizio o in quella tra primo e secondo tempo. Ebbene, la Global Sustainability Assessment System (GSAS) ha dato un sacco di bei voti agli stadi qatarioti, premiandoli per materiali usati nella costruzione, design scelti ed efficienza dei sistemi energetici in esso contenuti. Peccato che il 974, che ha preso quattro stelle, sarà smontato, impacchettato e spedito via container chissà dove con evidente spreco di combustibile fossile. Peccato poi che i tanto lodati stadi a impatto zero abbiano impianti di condizionamento dell’aria che permetterebbero di tenere tutti gli spettatori a 20-26° C mentre fuori ne fanno anche dieci in più (vedi Mondiale IAAF del 2019 ospitato dal Khalifa Stadium). La termodinamica, infatti, ci insegna che anche il più efficiente dei condizionatori sprigiona nei dintorni di uno stadio più calore di quanto non ne riesca a sottrarre e, se deve rinfrescare sensibilmente un volume gigantesco di aria, figuriamoci quanto calore deve sottrarre!1
Nella foto lo stadio Al Janoub, progettato dalla architetta britannico-irachena Zaha Hadid
Puntate precedenti: OneLove, ma non a Doha e dintorni; Stephanie Frappart e la storia diretta (e interpretata) dalla FIFA
Puntata successiva: Il mondo agli ottavi, la CAF in semifinale, le solite in finale