«Lo sport agli sportivi. […] La politica, in stretto senso, non deve avere nessuna influenza sullo sport». Chissà quante volte avete udito esprimersi in questi termini atleti, giornalisti, appassionati di sport e tifosi. Persino gli stessi politici, perché, in fondo, nulla è più politico di ciò che dice di non esserlo.
Ad ogni modo, il virgolettato è tratto da un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport nel luglio del 1945 dall’avvocato Alessandro Frigerio, in quel momento Commissario del CONI Alta Italia, e – come scrive Nicola Sbetti in Giochi diplomatici. Sport e politica estera nell’Italia del secondo dopoguerra – quelle parole vennero di lì a poco fatte proprie da un altro avvocato, Giulio Onesti e costituirono la base per la cosiddetta “via italiana allo sport”.

Nel corso del Ventennio il CONI era diventato una sorta di grancassa del regime, pronto a sfruttare ogni successo sportivo degli azzurri. Per questo, nel 1944, il governo Bonomi voleva liquidarlo e aveva affidato il compito di farlo a Onesti che, invece, optò per una riorganizzazione del Comitato Olimpico Nazionale.
Attraverso l’invenzione del Totocalcio, il CONI gettò le basi per rendersi si rese economicamente autonomo e non dover così dipendere da sussidi statali. Fece tutto questo con tale rapidità che il primo concorso pronostici gestito dalla SISAL fu indetto il 5 maggio 1946, ancor prima che italiani e italiane scegliessero tramite referendum la repubblica come forma di governo. Tuttavia, la storia dell’estraneità alla politica – continua Sbetti –

si rivelò a sua volta un’asserzione politica, tesa a preservare il potere e permise, per esempio, di avallare la mancata attuazione di una seria epurazione sportiva, sostenendo la preminenza dell’appartenenza “sportiva” su quella fascista.

Ma, soprattutto, questa estraneità del mondo dello sport non veniva mai declinata in modo assoluto: da un lato, per le varie federazioni sportive, chiedere supporto politico per organizzare manifestazioni era una pratica tutt’altro che sconosciuta; dall’altro, i grandi eventi internazionali erano gestiti alla stregua di incontri diplomatici dai dirigenti sportivi e non di rado in tali occasioni c’erano anche esponenti del governo a fare da ambasciatori.
In questa ottica è molto interessante vedere cosa accadde in termini di diplomazia sportiva a margine delle tre trasferte che fece la Nazionale italiana di calcio nel 1949, in Spagna, Ungheria e Inghilterra.

27 marzo 1949, Spagna-Italia 1-3
Il primo – e per adesso unico – successo della Nazionale maggiore in terra spagnola vide l’ultima presenza in azzurro di Bacigalupo, Ballarin, Castigliano, Rigamonti, Menti e Valentino Mazzola, a meno di cinquanta giorni dalla tragedia che avrebbe strappato il Grande Torino dalla storia e lo avrebbe consegnato alla leggenda. La trasferta degli azzurri fu, però, accompagnata da una serie di polemiche legate all’opportunità. La Spagna era rimasta fuori dalla Seconda guerra mondiale, ma solo perché reduce da una sanguinosa e terribile Guerra civil, conclusasi nell’aprile del 1939 con la destituzione della Repubblica da parte dei nazionalisti e l’inizio della dittatura del generale Francisco Franco. Tra l’altro, era stato palese l’interesse del regime fascista nel corso del conflitto spagnolo, con l’invio di truppe volontarie a sostegno dei franchisti, così come erano stati numerosi gli italiani che si erano uniti alle Brigate Internazionali.

Quindi, a neanche quattro anni dalla Liberazione dell’Italia dai nazi-fascisti, fece un po’ effetto sapere che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Giulio Andreotti e alcuni pezzi grossi dello sport italiano come Giovanni Mauro e Ottorino Barassi presenziarono al match in tribuna d’onore insieme con il Ministro della Giustizia, nonché comandante della Falange, Cuesta.
Della partenza di Andreotti per Madrid si sapeva già da qualche giorno prima del match, perché – ad esempio – ne aveva parlato La Gazzetta dello Sport il 22 marzo. Ad ogni modo, L’Unità, organo ufficiale del PCI, il 27 marzo si limitò a presentare la partita e a denunciare l’ingerenza di Franco nel mondo del calcio:

Anche lo sport è stato inquinato dal franchismo. […] La partita con l’Italia è stata tramutata in ulta dimostrazione del più medioevale nazionalismo, con ambiziose reminiscenze di supremazia di razza. […] Tutti i giornali spagnoli incitano la loro squadra al combattimento come se si trattasse d’una battaglia decisiva per le sorti della nazione

Però, nei mesi successivi sarebbe stato il senatore comunista Umberto Terracini a chiedere delucidazioni in merito alla “missione” di Andreotti in terra spagnola.
Anche perché il sottosegretario democristiano, a Budapest, per assistere a Ungheria-Italia, non era andato.

[continua…]

Nella foto in evidenza: Rigamonti in azione in Spagna-Italia