Il 2 giugno del 1946 un referendum popolare sancisce la fine del Regno d’Italia e l’inizio della Repubblica Italiana: la Seconda Guerra Mondiale appena conclusa, la connivenza col fascismo e la lotta partigiana sono ricordi troppo freschi, almeno nel Nord della penisola, per consentire ai Savoia di cavarsela. Il Re fa le valigie, oltrepassa le Alpi e comincia ad abituarsi all’aria svizzera. Le insegne dell’ex casa regnante vengono riposte, lo stemma sabaudo è tolto dalla bandiera e dalle maglie della nazionale italiana di calcio. Il 27 aprile del 1947 a Firenze, in occasione del terzo impegno dopo la ripresa dell’attività sportiva -un’amichevole contro la Svizzera-, gli azzurri sfoggiano sul petto, all’altezza del cuore uno scudetto tricolore, proprio lì dove campeggiavano fascio littorio e scudo Savoia. Un adeguamento che, paradossalmente, assolve dalle sue origini la parte più importante dell’eredità cromatica sabauda, quella che ancor oggi la nazionale si porta dietro.

L'Italia che affronta la Svizzera a Firenze. Tra loro ben nove giocatori del Torino

L’Italia che affronta la Svizzera a Firenze nell’aprile del 1947. Tra loro ben nove giocatori del Torino

Il colore azzurro delle maglie è, infatti, tanto Savoia quanto lo scudo rosso con croce bianca appena abolito e i due richiami araldici hanno fatto, insieme, la loro apparizione.
La storia della nazionale italiana è iniziata il 15 maggio 1910, contro la Francia. Quel giorno la F.I.G.C. ha dotato i giocatori di semplici ed economiche camicie bianche con un nastrino tricolore, camicie che, due settimane dopo, in occasione dell’avventurosa trasferta in Ungheria  sono servite anche per la notte. Il successo di pubblico del primo match ha, però, garantito alle casse federali un po’ di liquidità e la possibilità di confezionare una divisa tutta nuova per il retour match con l’Ungheria, in programma a Milano il 6 gennaio 1911.
Contrariamente a quanto si possa pensare, la bandiera influisce nella scelta cromatica. La prima proposta vagliata è, infatti, una casacca bianca col simbolo della casa regnante all’altezza del cuore, una proposta che ricorda direttamente la parte centrale del tricolore allora in voga, ma che non ottiene il consenso unanime dell’assemblea. L’omaggio ai Savoia piace, non il colore, che rimanderebbe troppo alla Pro Vercelli, resasi, peraltro, recentemente protagonista di un atto contro federazione. Si cambia allora lo sfondo e si attinge di nuovo allo stemma sabaudo e, in particolare, al colore del campo su cui esso poggia in bandiera: l’azzurro.[1]

Lancia Vincenzo_image014Oggi i termini ‘azzurro’ e ‘azzurra’ indicano in senso lato un qualsiasi atleta che faccia parte di una selezione italiana e non importa se si sta parlando di Mondiali di ciclismo o di una partita di basket, se la maglia indossata non è azzurra o se l’atleta in questione ha solo cuffia e costume.
Eppure c’è un altro colore che in un particolare ambito sportivo rimanda all’Italia e può addirittura vantare maggiore anzianità in merito, il rosso corsa che caratterizza, ad esempio, Ferrari, Alfa Romeo e Ducati. La prima “nazionale a motore” risale, infatti, alla Coppa Gordon Bennett. La gara automobilistica, messa su nel 1900 da un ricco americano, nel 1903 si trasforma in una vera e propria competizione per nazioni. Per rendere la gara più televisiva -diremmo oggi-, le vetture che gareggiano per lo stesso paese vengono verniciate con lo stesso colore. Fanno, così, esordio il blu francese, il bianco tedesco (che poi diventerà argento) e il racing green britannico. Quando, nel 1904, la squadra italiana guidata da Vincenzo Lancia si iscrive alla corsa, viene scelto il color rosso per le tre FIAT in gara, forse perché gli altri due colori della bandiera sono stati già presi. Alla squadra italiana non va benissimo (quinto posto nella classifica per nazioni, ottavo posto nella classifica generale per l’alfiere Lancia), ma le vittorie per il rosso corsa cominceranno ben presto.

A dire il vero, ci sarà posto anche sul campo da calcio per una vittoria, ma è solo un caso. A Caltanissetta il 16 novembre 1994 è in programma un’Italia-Croazia, valevole per gli Europei Under 21. Per un’incomprensione tra le due federazioni, le due squadre si presentano entrambe in campo in divisa bianca, disguido simile a quello occorso in Francia-Ungheria ai Mondiali del 1978. L’Italia padrona di casa entro mezz’ora deve cambiar maglia, pena lo 0-3 a tavolino, ma la prima maglia, quella azzurra, non è stata portata. Così, i dirigenti si fanno aprire la sede del Nissa, la principale squadra locale che all’epoca del misfatto milita in Eccellenza, e prendono uno stock di maglie rosse. Gli azzurrini vincono 2-1, grazie ai gol di Del Piero (su rigore più che dubbio), del futuro leccese Vugrinec e di Dionigi.
L’inghippo cromatico ha così il merito di consegnare alla storia una sfida altrimenti destinata all’oblio e di chiudere il cerchio che lega Italia, nazionali, azzurri e color rosso.

federico

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[1] cfr. A. Papa-G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia, il Mulino, 2002, cap. 5