La Nazionale e le Olimpiadi. 1° puntata: Da quando si può davvero parlare di una delegazione ufficiale italiana a un’Olimpiade?

Al congresso del giugno 1894 in cui venne approvato il progetto decoubertiniano di far rivivere le Olimpiadi, c’era anche un italiano, Ferdinando Lucchesi-Palli, in rappresentanza della Federazione Ginnastica Nazionale Italiana (FGNI), l’unico ente sportivo con diramazioni su tutto il territorio nazionale che poteva allora dirsi attivo1. Così attivo che, di fatto, avrebbe persino assegnato (nel 1896) il primo titolo nazionale della storia del calcio italiano2.
Lucchesi-Palli dovette dimettersi subito da membro del CIO, causa carriera diplomatica, e lasciò il posto a Riccardo Carafa duca d’Andria e marchese di Corato, che partecipò come dirigente ad Atene 1896, la I Olimpiade dell’era moderna.
Nonostante un italiano sedesse così in alto in seno al CIO, in Grecia la FGNI non mandò una sua delegazione ufficiale di atleti, accampando problemi economici. In autonomia Giuseppe Rivabella, ingegnere residente in territorio ellenico da 15 anni, partecipò a una gara di tiro. Così come, in autonomia, Carlo Airoldi si fece tutta la strada da Milano ad Atene a piedi, prima di essere escluso dalla maratona per “professionismo”.

Anche la partecipazione degli atleti di nazionalità italiani alla II Olimpiade o, meglio, ai concorsi sportivi tenuti in occasione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 (e poi, eventualmente, riconosciuti dal CIO) fu questione di decisioni prese in privato. Anche perché le gare furono spalmate su sei mesi ed avevano tutte una propria organizzazione indipendente. Impossibile, quindi, parlare di Nazionale, anche se -ad esempio- il conte Gian Giorgio Trissino dal Vello d’Oro e gli altri iscritti alle gare di salto nell’equitazione erano membri del Regio esercito (a cominciare dall’allora tenente Federico Caprilli che non poté andare a gareggiare perché richiamato dal Ministero della Guerra causa scioglimento delle Camere).
Saltando a pié pari Saint Louis 1904, troppo lontana dall’Italia e di durata di nuovo troppo lunga per poter anche solo pensare a un singolo organismo sportivo che coordinasse la spedizione di atleti italiani, si arriva ai Giochi Intermedi, il vero punto di svolta. Scrive la Gazzetta in una sua ricostruzione storica di Atene 1906:3

Quella italiana è una vera spedizione. Parte in treno da Roma per Brindisi, imbarcata poi per Patrasso sulla Scilla, è figlia di vere selezioni, ha un responsabile, l’onorevole Lucchini4, sono presenti alle gare e sulla Varese [l’incrociatore corazzato che ospita parte dello staff italiano] l’ambasciatore e altre autorità

Visti i sette ori e le sedici medaglie totali, l’esperimento di costituire un comitato che si occupasse delle selezioni e della spedizione vera e propria fu riprosto in occasione di Londra 1908 e Stoccolma 1912. Poi, nel giugno 1914, nacque il CONI, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano, sulla scia di quanto stava accadendo anche altrove. Il nuovo ente, dapprima, operò realmente solo in funzione dei Giochi, poi sotto il Fascismo divenne quella “Federazione delle federazioni sportive” che tutti conosciamo. A ulteriore testimonianza che le Olimpiadi divennero un qualcosa di veramente rappresentativo solo nel momento in cui i singoli Stati, i singoli governi si accorsero di quanto importante potesse essere primeggiare in un agone sportivo.

Con Atene 1906 uno dei due presupposti necessari affinché si potesse parlare di Nazionale di calcio alle Olimpiadi era, dunque, soddisfatto: la coscienza da parte dei vertici dello sport e della politica italiana di quanto fondamentale fosse mandare ai Giochi una vera e propria delegazione in rappresentanza dell’Italia.
Quattro anni dopo, con le prime amichevoli giocate dalla rappresentativa azzurra contro Francia e Ungheria, si ottemperò anche all’altro necessario passo. Non a caso, al torneo di calcio della V Olimpiade l’Italia c’era.

Nell’immagine in evidenza: Gian Giorgio Trissino in gara a Parigi

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