A dir poco affascinante il potersi godere in Germania una finale di Champions League tutta tedesca. Non a Monaco né a Dortmund, precisiamo, ma nella grigia ex DDR. Che è comunque un campione abbastanza rappresentativo, perché i luoghi comuni ci sono tutti: persone relativamente silenziose anche di fronte a partite incredibilmente importanti come quella in questione (molto male), birra a fiumi (molto bene), e quasi tutti gli avventori che tifavano Bayern (decisamente male) . Ecco, a proposito, assistendo a questa partita mi sono reso conto di quanto si sia nel giusto quando si dice che la squadra bavarese è in Germania come la Juventus in Italia: o la tifi o la detesti. Io e la mia comitiva – unici non germanici in un locale estremamente tedesco – abbiamo seguito la seconda corrente di pensiero. Solo noi però, se non per un energumeno che mi ha anche abbracciato dopo il pareggio di Gündogan, per poi rivelarmi nel post-partita che non gliene frega niente del calcio ma che odia gli italiani a causa della semifinale del 2006. Silenzio imbarazzante e forte tentazione di ricordargli anche 1978, 1982 e 2012, oltre che di fargli notare che magari poteva odiare un altro italiano ieri sera, cioè Rizzoli, che non si sa perché non abbia espulso Dante (e a dir la verità non si sa nemmeno il perché fosse lì, viste le scarse prestazioni nella stagione appena finita). Ma aveva già detto “l’unico italiano che rispetto è Valentino Rossi” a cui è seguito un “ah sì? a me sta sul cazzo”, non gradito dal suddetto energumeno.
Tornando in tema… certo, nella ex DDR la situazione calcistica è quella che è e ci sta che la gente salga sul comodo carro dei vincitori bavaresi, ma un po’ in tutta la Germania è possibile vedere bandiere, sciarpe e altri strani gadgets automobilistici con il logo del Bayern. Stucchevole. In più, quando vuoi appassionarti a un campionato che viene ammazzato da una squadra (ricordiamo che il Bayern ha vinto la Bundesliga con 25 punti sul Borussia Dortmund, rischiando di essere matematicamente campione già a fine marzo), è normale detestarla. È stato questo lo spirito con cui la mia comitiva di non tedeschi ha visto la finale di Champions, unici a fare rumore nel quasi totale silenzio rotto da qualche applauso per le parate di Neuer e da qualche mugugno quando sono stati inquadrati Michel Platini e Angela Merkel (per cui dal nostro tavolo è partito anche un italianissimo “stronza!” contro l’austerità, complici anche i fiumi di birra di cui sopra).
Alla fine però l’ha spuntata “l’odiato” Bayern (e non è stata soddisfatta la curiosità di vedere l’espressione di Robben – peraltro matchwinner – dopo un’ennesima finale persa) alzando il trofeo per la quinta volta, contro un Dortmund che ha iniziato bene all’insegna del “non abbiamo nulla da perdere”. Orfani di Götze, ufficialmente in tribuna per infortunio (ma si sa bene il motivo politico del suo mancato schieramento), i gialloneri hanno spaventato Neuer in più di qualche occasione, non riuscendo però a concretizzare i loro attacchi. Verso la metà del primo tempo i bavaresi hanno iniziato a mettere il naso nella metà campo avversaria e anche Weidenfeller ha avuto il suo bel da fare. La partita, pur godibile, si accende davvero solo a mezz’ora dal termine, quando Mandžukić (che da riserva di lusso di Gomez è diventato l’attaccante titolare a suon di pesantissimi gol) insacca facilmente la palla messa in mezzo da Robben. Il Dortmund però reagisce bene e dopo otto minuti trova il gol del pareggio: Dante in versione taekwondo atterra Reus (come detto si sarebbe meritato un altro cartellino giallo) in area e Gündogan trasforma spiazzando Neuer. Passano tre minuti e il Bayern rischia seriamente di raddoppiare, ma Subotić salva miracolosamente sulla linea (altro abbraccio con l’energumeno, tra l’altro). Dopo questo episodio solo il Bayern prova ad evitare i supplementari con due tiri pericolosi di Alaba e Schweinsteiger su cui è bravissimo Weidenfeller, poi all’88’ ci riesce: Ribery sorprende la difesa giallonera con un colpo di tacco, in realtà deviato da Piszczek, che mette Robben davanti a Weidenfeller. Stavolta l’olandese riesce a essere decisivo e sigla con freddezza il definitivo 2-1.
Il Bayern ha quindi vinto anche la Champions League. A questo punto il pensiero corre al fatto che il giovane Guardiola, già ingaggiato dai bavaresi per il prossimo anno, sarà costretto a (stra)vincere per non far rimpiangere il vecchio Heynckes, e lo dovrà fare in un ambiente del tutto diverso rispetto al suo Barcellona delle meraviglie, anche se alcuni punti in comune ci sono. Lahm può essere il Puyol della situazione, un capitano navigato e carismatico. Il settore giovanile bavarese ha sfornato e sforna giocatori come Schweinsteiger (rinato dopo l’arretramento davanti alla difesa, Pirlo docet) e Müller, giusto per citare qualcuno. Le risorse economiche di Hoeneß, presidente del Bayern (indagato per frode fiscale, tutto il mondo è paese), sono importanti, lo dimostrano i 40 milioni spesi lo scorso anno per Javi Martínez e i 38 per il già citato Götze. Ecco, probabilmente la pressione, oltre che su Guardiola, cadrà sul 21enne ormai ex Dortmund, a questo punto quasi costretto a divenire il Messi teutonico.
daniele