Il lombradissimo Carlo Masseroni, presidente dell'inter

Il lombradissimo Carlo Masseroni, presidente dell’inter

Agli inizi degli anni Cinquanta il campionato italiano vive di un equilibrio impensabile solo qualche anno prima. Il Grande Torino se ne è andato nella nebbia di Superga, lasciando vacante il suo trono e tanti pretendenti. Juventus e Milan ne hanno approfittato, sfruttando al meglio le disponibilità economiche e la nuova moda nata dopo le Olimpiadi di Londra di andare a cercare stranieri in Svezia e Danimarca. Si sono così spartite i primi tre campionati del dopo Superga: due le vittorie bianconere, una rossonera. L’Inter non è rimasta a guardare, ma a nulla le sono valsi i 107 gol realizzati nell’annata 1950/51. Il suo disperato inseguimento al Milan è stato vanificato da una sconfitta alla penultima giornata in casa del Torino, proprio mentre i cugini rossoneri si facevano inaspettatamente superare dalla Lazio. E anche gli 86 gol della stagione 1951/52 hanno fatto rimanere i nerazzurri nella lotta scudetto solo fino alla giornata numero 24. Così a settembre 1952 il presidente Masseroni decide di cambiare rotta e si affida all’oro olimpico di Berlino e campione del mondo nel 1938 Alfredo Foni, reduce da una buona stagione sulla panca della Sampdoria.

Sfruttando l’arretramento del raggio d’azione dell’ala destra Armano, già iniziato l’anno precedente, Foni libera il lento e non più giovane Blason da compiti di marcatura e lo mette dietro i terzini Giovannini e Giacomazzi a potenziare la capacità difensiva dei nerazzurri. È un passo decisivo verso l’invenzione del libero. L’Inter per prima cosa bada a non lasciare spazi agli avversari, facendo stagnare il gioco a centro campo e poi lanciandosi in contropiede. Anche perché davanti i giocatori di classe ci sono: il centravanti Benito Lorenzi (per tutti Veleno), l’interno svedese Nacka Skoglund, il funambolico apolide István Nyers. In una parola è il catenaccio, tattica la cui paternità Nereo Rocco, Helenio Herrera e lo stesso Foni si sono disputati.[1]

Ma se una virata verso un gioco ostruzionistico, orientato innanzitutto al risultato è nell’aria da un po’, quello che non va giù alla stampa italiana è che a giocar così sia una grande e non una piccola. L’Inter che prova a vincere di misura e non si spreca mai troppo per lo spettacolo diventa così uno “scandalo” per tutti, tranne che per Gianni Brera che scrive:

Come d’incanto l’Inter si è fatta razionale fino a sembrar sparagnina. La squadra rimane bloccata sull’uomo in più in difesa. Vince prodigando il minimo sforzo.

Da sinistra l'allenatore Foni, Armano, Broccini, Mazza, Lorenzi, Skoglund, Nyers e il massaggiatore Della Casa; accosciati, Neri, Fattori, Giovannini e Nesti; seduti, Blason, Grava, Ghezzi, Giacomazzi e Padulazzi

Da sinistra l’allenatore Foni, Armano, Broccini, Mazza, Lorenzi, Skoglund, Nyers e il massaggiatore Della Casa; accosciati, Neri, Fattori, Giovannini e Nesti; seduti, Blason, Grava, Ghezzi, Giacomazzi e Padulazzi

Scandalo o no, l’Inter di Foni introduce il suo catenaccio al Veleno (e non solo per il buon Lorenzi) alla sesta giornata in occasione della partita interna col Bologna e dopo la rimonta subita a Busto Arsizio (da 0-2 a 2-2) e da lì spicca il volo. Chiude con sei punti di vantaggio sul Milan al giro di boa dopo 4 pareggi e 13 vittorie, di cui otto col minimo scarto. Nel girone di ritorno il vantaggio rimane sempre di sicurezza, mentre Juventus e Milan si alternano al posto d’onore. Il sesto scudetto della storia nerazzurra arriva a tre giornate dal termine, dopo un 3-0 al Palermo firmato Nyers e Skoglund. L’Inter si può persino permettere tre sconfitte nelle ultime tre partite.contribuendo alla salvezza di Triestina, Sampdoria e Novara.
Il punteggio finale dice 47 punti, con 46 gol fatti e solo 24 subiti. Alla fine, stanco forse delle polemiche, il presidente Masseroni inviterà Foni ad abbandonare almeno nominalmente la sua tattica l’anno seguente. Il successo finale arriverà lo stesso. Con gioia di Brera che poi vedrà quel gioco all’italiana piano piano conquistare tutti e portare il Milan di Rocco e l’Inter di Herrera sul tetto d’Europa e del mondo.

federico

[1] La Svizzera di Karl Rappan già alla fine degli anni Trenta giocava col Verrou, una versione del sistema che prevedeva un uomo arretrato dietro i due terzini a occuparsi del centravanti. Il battitore libero, tipico del catenaccio, sarà invece libero (appunto) da ogni compito di marcatura e fungerà da ultimo baluardo prima del portiere