Appunti da Qatar 2022 per il futuro, per ricordare meglio cosa il Mondiale più controverso ha consegnato alla storia e alla cronaca. Sesta puntata: La finale
«The winner is… Qatar» è il titolo di uno dei pezzi dedicati dal Guardian al consuntivo di questo Mondiale; «La vittoria dell’Argentina (e del Qatar)» ribadisce Lorenzo Longhi sul sito della Treccani. Impossibile non essere d’accordo.
Che qualcosa si potesse inceppare nella tela ordita da Al Thani, con la complicità e il beneplacito della FIFA, era, infatti, una speranza da me nutrita tutt’altro che inconsciamente; costituiva, però, un irrimediabile vantaggio per l’emiro il fatto che la disputa della rassegna non fosse mai stata messa in dubbio e la partecipazione di tutte le qualificate neanche, nonostante qualche malumore espresso da alcune compagini provenienti dall’Europa.
I cattivi risultati ottenuti dalle ribelli (o potenzialmente tali) Germania, Danimarca e Galles, nonché il ridimensionamento delle modalità di protesta dell’Inghilterra e la sua successiva eliminazione all’altezza dei quarti avevano poi lasciato campo libero ad Argentina e Francia, formazioni certamente gradite al proprietario del Paris Saint Germain, vista la presenza in esse di Messi e Mbappé. Quello che, però, tanti non si aspettavano (e che ha funto da ciliegina sulla torta per Al Thani) era di vivere una finale davvero difficile da dimenticare per quello che ha offerto il campo.
L’atto conclusivo di una rassegna iridata è spesso giocato sotto ritmo, con le squadre votate a non scoprirsi per paura di rovinare tutto sul più bello. Altre finali hanno, invece, visto il predominio di una squadra sull’altra e, quindi, non sono state combattute fino all’ultimo. In realtà, al minuto 75 di Argentina-Francia l’albiceleste aveva due gol di vantaggio e due mani sulla coppa, ma quello che è accaduto dal momento in cui Otamendi ha steso Kolo Muani in poi è stato un susseguirsi di emozioni, che hanno visto la sublimazione in trenta minuti più recupero di supplementari in cui le due squadre hanno cercato senza paura e senza criterio la vittoria. Gli ultimi secondi con la parata di Martinez su Kolo Muani e la girata di testa fuori di Lautaro hanno reso meno amaro, se non addirittura piacevole l’epilogo ai rigori: giusta lotteria per due squadre che non erano riuscite a superarsi in campo.
In pratica, quando si parlerà di Qatar 2022 si potrà a ben ragione affermare che la finale è stata la partita più bella, cosa che – a mio personale parere – neanche Messico 1986 può vantare, anche perché in quella occasione la Germania Ovest rimontò sì due reti in poco tempo nella ripresa, come fatto dalla Francia e da Mbappé, ma si arrese nuovamente prima del fischio finale1.
Ma, tornando al leit motiv iniziale, quello del successo ottenuto dal Qatar in fatto di visibilità e rightwashing, non voglio concludere il mese mondiale e la raccolta di appunti per il futuro lasciando la sensazione che la vittoria degli uni significhi la sconfitta di chi ha provato a raccontare la Coppa del Mondo (e cosa le è girato intorno) dando spazio ai retroscena politici, alle contraddizioni culturali e alle criticità sociali che la manifestazione veicolava. Prendendo spunto da un altro pezzo apparso sul Guardian, a firma Karim Zidan, è, infatti, auspicabile che Qatar 2022 sia uno spartiacque nel mondo del giornalismo sportivo, nel modo di raccontare i grandi eventi. Perché
it is vital that sports journalists continue to apply the same critical lens they’ve applied to Qatar to other host countries
Puntate precedenti: OneLove, ma non a Doha e dintorni; Stephanie Frappart e la storia diretta (e interpretata) dalla FIFA; Tra tradizione e sostenibilità: la narrazione degli stadi di Qatar 2022; Il mondo agli ottavi, la CAF in semifinale, le solite in finale; Qatar 2022, di arbitri e squadre vincenti