22 ottobre 2022. In occasione della partita interna contro lo Stoccarda i tifosi del Borussia Dortmund espongono un mega striscione con su scritto “#BOYCOTT QATAR 2022”. A un mese dall’inizio della manifestazione il messaggio ha ormai solo valore simbolico, magari nasconde un’accusa ai rivali del Bayern Monaco che hanno un contratto di sponsorizzazione in corso con la Qatar Airways, ma fa comunque capire come una parte del mondo del calcio si sia relazionata con il problema di andare a giocare in un paese in cui non si rispettavano i più elementari diritti umani dei lavoratori. Di quei  lavoratori che erano arrivati da India, Filippine, Bangladesh o Nepal per costruire le infrastrutture necessarie a che il Mondiale si potesse tenere davvero.
La piena di questa ondata di discussioni e prese di posizioni in merito al boicottaggio si era avuta nella prima metà del 2021 e aveva raggiunto l’apice in Norvegia. Con Haaland e soci messi male ma ancora matematicamente in grado di qualificarsi, la federazione si era vista costretta a convocare un consiglio straordinario per prendere una posizione ufficiale. Un po’ perché la mozione che chiedeva di non ritirarsi dal girone eliminatorio aveva vinto (368 voti a favore, 121 contro), un po’ perché poi gli scandinavi non erano comunque riusciti a qualificarsi, le luci dei riflettori si erano spente su chi dall’interno spingeva per boicottare il Mondiale.

Come scrive Valerio Moggia in La coppa del morto. Storia di un Mondiale che non dovrebbe esistere (ed. Ultrasport, 2022), a differenza di quanto accaduto in tanti altri paesi europei, qui da noi il dibattito sul boicottaggio del Mondiale in Qatar non c’è mai stato. Nessun dirigente della Federcalcio, nessun calciatore della Nazionale di Mancini ha rilasciato dichiarazioni anche solo un minimo dubbiose in merito al rispetto dei diritti umani da parte del paese che si apprestava a ospitare il torneo e all’opportunità di andar lì a giocare a calcio (e la cosa non ci sorprende, ricordando la “difficoltà” mostrata nel corso dell’Europeo di dichiararsi contro il razzismo, anche solo a parole). Tanto che, sinceramente, temiamo che l’unico momento in cui il grande pubblico ha sentito parlare di boicottaggio è quando, a marzo 2022, è circolata la battuta colma di ironia a buon mercato sugli azzurri che hanno espresso il loro dissenso rispetto a Qatar 2022 facendosi buttare fuori dalla Macedonia del Nord.
Il guaio è che, anche stavolta, è emersa l’idiosincrasia da parte dei media nazionali a raccontare il calcio e tutto ciò che gli gira intorno come un qualcosa di intimamente connesso all’economia globale e ai problemi sociali. E siccome di cose da raccontare e da contestualizzare ce ne sono davvero tante, vi rimandiamo al già citato libro di Moggia per sapere come funziona la forma di neo-schiavitù legalizzata nota come kafala; per approfondire quando sono stati resi noti i primi report sulle disumane condizioni di lavoro patite da chi in Qatar stava costruendo la Coppa del Mondo; per conoscere come la FIFA ha prima fatto finta di niente, poi ha addirittura provato a intestarsi il merito di alcune riforme di facciata approvate nell’emirato; infine, per rendersi conto di come tutto questo bailamme “riformista” non ha minimamente toccato altre categorie sociali profondamente discriminate, donne e comunità LGBTQ+ in primis. Cosa che, tra parentesi, ci fa comprendere quanto assurdo sia attendersi che i vertici del calcio escludano l’Iran dal Mondiale perché i Pasdaran stanno reprimendo nel sangue il movimento di protesta nato dopo la morte di Mahsa Amini.

Vogliamo, però, chiudere questo special un po’ diluito, che è servito da avvicinamento e preparazione a Qatar 2022, esattamente come lo avevamo iniziato tre anni fa, ovvero andando alla ricerca delle analogie che ci offrono altre manifestazioni, altri sport, altre nazioni, perché ciò che accade nel pur ricchissimo e munifico mondo del pallone non è cosa a sé stante. E dopo atletica, pallamano, Azerbaijan è la volta degli sport invernali e non potrebbe essere altrimenti. A inizi ottobre è, infatti, stato reso noto che i Giochi asiatici invernali del 2029 si terranno a Trojena, complesso sciistico che sorgerà in prossimità di Neom, una città ancora tutta da costruire a una cinquantina di km dal Golfo di Aqaba, Mar Rosso1.
Stiamo parlando di Arabia Saudita, un paese che -guarda un po’- nell’immaginario collettivo è legato al deserto e che, invece, ospiterà un evento che ha bisogno di temperature molto sotto lo zero. In rete si trova scritto che intorno alla futura Trojena i monti sono alti tra i 1500 e i 2600 metri, che lì fa un po’ più fresco che a Neom (e vorremmo vedere…) e che almeno metà della neve sarà artificiale. Non osiamo, dunque, immaginare quale impatto ambientale potrà avere anche solo tenere in funzione le strutture destinate alle competizioni, ma, dopo aver visto, per il Mondiale di atletica di Doha del 2019, uno stadio trasformarsi in un gigantesco impianto di aria condizionata all’aperto, siamo pronti a tutto.
Chi sarà chiamato a costruire stadi, palazzetti, hotel e infrastrutture varie, invece, è presto detto: saranno i lavoratori migranti, come in Qatar per il Mondiale 2022.

Fanno parte dello special “diluito” citato nell’articolo: la PRIMA PARTE, la SECONDA PARTE, la TERZA PARTE di uno special sul Mondiale di atletica di Doha del 2019, e l’articolo QATAR 2022, UN CASO DI CORRUZIONE SENZA CORRUTTORI.