Il Calcio alle Olimpiadi. 5° puntata: Londra 1908 e Stoccolma 1912

Da un lato, Upton Park, Galt F.C. e la rappresentativa della federazione calcistica di Copenhagen XI; dall’altro, due volte Regno Unito. Bastano i nomi delle squadre vincitrici dei tornei di calcio disputati in sede olimpica (o affine) per cogliere il salto di qualità fatto tra i Giochi Intermedi di Atene del 1906 e Londra 1908, la IV Olimpiade.

Nella capitale britannica il tutto è ancora legato a un’esposizione, le gare sono nuovamente spalmate su sei mesi e manca l’appoggio governativo: tutti limiti che avevano contribuito a rendere fallimentari le edizioni di Parigi e Saint Louis. La grande differenza è che questa volta il CIO e gli organizzatori della Franco-British Exhibition collaborano. Inoltre, la formazione dei comitati nazionali olimpici e gli accordi di massima per definire un limite alle iscrizioni fanno aumentare il livello medio degli atleti selezionati. In terra britannica per la prima volta non ci sono turisti-atleti, un ulteriore indizio della trasformazione delle Olimpiadi da competizione tra individui a competizione tra rappresentanti delle nazioni, per dirla con Nicola Sbetti1.
Il calcio segue inevitabilmente questa scia. Il CIO affida alla neonata FIFA l’organizzazione del torneo, cui anche la Football Association di Inghilterra è affiliata: un idillio a tre che proseguirà fino allo scoppio della Grande Guerra e che consentirà ai maestri inglesi di vincere l’oro con la Nazionale amateur, pur sotto le insegne dell’Union Jack perché quello è il comitato nazionale del Regno Unito è il comitato olimpico di riferimento.
Le iscritte sono otto, ma le nazioni effettivamente partecipanti sono cinque: l’Ungheria si ritira per problemi finanziari, la Boemia perché in primavera perde l’affiliazione alla FIFA, mentre la Francia si presenta con due squadre e, sportivamente parlando, è un grave errore della federazione competente, l’USFSA2. I galletti B, infatti, perdono 9-0 contro la Danimarca nei quarti, mentre i galletti A passano il turno per l’abbandono della Boemia, sono sommersi 17-1 sempre dai danesi in semifinale e rinunciano al match per il bronzo per non fare altre brutte figure. Viene così ripescata la Svezia, ma sul gradino più basso del podio sale l’Olanda, che vince 2-0 secondo la FIFA e 2-1 secondo il rapporto ufficiale.
Il percorso degli inglesi è, invece, lineare e il divario in gol tra loro e gli avversari suggerisce che la classifica finale è quella giusta. La squadra del Regno Unito batte, infatti, 12-1 la Svezia nei quarti, 4-0 l’Olanda in semifinale e con un sofferto 2-0 i danesi in finale: al White City Stadium segna subito il capitano Frederick Chapman, il danese Lindgren spaventa il portiere avversario, poi è Vivian Woodward a inizio ripresa a fissare sul definitivo 2-0 il risultato.

1912_Olympics_Swedish_royals

La famiglia reale svedese assiste ai Giochi

Quattro anni dopo, nel 1912, a Stoccolma, arriva il bis. Oltre a Woodward, l’unico a giocare in tutti e sei i match olimpici, sono tre i giocatori confermati: i portieri Horace Bailey e Ronald Brebner (il primo titolare nel 1908, il secondo nel 1912) e l’attaccante Arthur Berry, che salta solo la semifinale in terra svedese. Anche il cammino è simile: 7-0 all’Ungheria nei quarti, 4-0 alla sorprendente Finlandia in semifinale grazie a un poker del massimo cannoniere del torneo (Walden, 11 reti per lui), 4-2 all’inossidabile Danimarca in finale. Anche tra i danesi c’è qualcuno dei vincitori dell’argento londinese, in particolare Sophus Nielsen, capocannoniere nel 1908 e autore in tutto di 13 reti olimpiche, e il capitano Buchwald che aveva persino fatto parte dell’undici vittorioso ad Atene 1906 e, quindi, ottiene in tutto un oro e due argenti ai Giochi. Purtroppo per lui la finale è doppiamente triste perché s’infortuna e lascia i suoi in dieci alla mezzora del primo tempo, sul 2-1.
La novità, sinonimo che il football sta crescendo, è il numero di Nazionali partecipanti, undici, tutte europee. Tra loro l’Italia, guidata per l’occasione da Vittorio Pozzo, e tre rappresentanti di imperi che non sopravviveranno all’imminente guerra: la Germania del Kaiser Guglielmo, l’Austria asburgica e la Russia zarista. C’è anche l’Olanda, che riconquista il terzo gradino del podio. In tutto si disputano 17 partite tra il 29 giugno e il 5 luglio, fila tutto liscio e c’è solo una stranezza: il 4 luglio si assegna la medaglia d’oro, il 5 finisce il torneo di consolazione, ideato per non mandare subito a casa le perdenti, e il giorno dopo ancora va in scena la cerimonia di apertura dei Giochi.
Le notizie positive per il mondo sportivo non arrivano, però, solo dal calcio: a funzionare è tutta la macchina organizzativa messa in campo dal comitato olimpico svedese, dietro cui c’è anche il re. Gustavo V di Svezia diventa, quindi, il primo capo di Stato della storia a credere che la buona riuscita di una Olimpiade accresca il prestigio della nazione che la organizza.

Ma cosa è potuto accadere in dodici anni, tra Parigi 1900 e Stoccolma 1912 per cambiare così tanto le carte in tavola? Tra le righe di quanto riportiamo sotto c’è forse la risposta.
Quella svedese è -a detta di de Coubertin- l’Olimpiade perfetta. Il barone lo scriverà nelle sue Memorie Olimpiche più di 25 anni dopo, aggiungendo tristemente che in terra svedese il trionfo dell’Olimpismo fu possibile solo grazie alla spinta di un nazionalismo che si misurò nello stadio in vista di misurarsi sui campi di battaglia.

Nell’immagine in evidenza: Certificato dato a ciascuno dei vincitori del torneo di Londra; l’unica medaglia d’oro fu conferita al team e non ai singoli. Da notare la scritta, “To England”

Puntate precedenti: Calcio e Olimpiade: una contraddizione in termini; Il primo calcio olimpico; Il football al tempo dell’Expo; Ai Giochi di Atene del 1906 vince lo sport
Puntata successiva: Fuchs ne fa dieci ai russi