Il Calcio alle Olimpiadi. 7° puntata: I Giochi Interalleati del 1919

Un’Olimpiade può non essere celebrata, ma il suo numero d’ordine rimane. Questa frase di De Coubertin spiega perché la sesta edizione dei Giochi non si sia mai disputata. Una scelta che sa di classicismo, ma che nel 1916 sapeva, suo malgrado, di tragica ironia. I giochi che Olimpia ospitava ogni quattro anni, a partire dal 776 a.C., erano, infatti, dedicati a Zeus e, allora, guai a saltarne un’edizione. Da lì l’idea di servirsene come punto di riferimento per contare gli anni, come la nascita di Cristo per la cultura occidentale, la data della creazione per gli Ebrei o l’Egira maomettana per i paesi musulmani. Tutti, non a caso, eventi dal significato religioso.
Da lì anche l’idea della tregua olimpica che imponeva la sospensione di qualsiasi ostilità nel periodo dedicato a Zeus Olimpio e alle gare di atletica. Tregua che, invece, non si ebbe in occasione della VI Olimpiade moderna.

A dire il vero, l’esperienza di Stoccolma 1912 aveva lasciato intuire quanto buoni risultati alle Olimpiadi potessero incidere sulla coesione interna e sul prestigio internazionale dei singoli Stati-Nazione in un momento in cui alleanze trasversali e inimicizie parallele stavano portando l’Europa (e non solo) verso il baratro. Del resto, il CIO continuò fino al maggio 1915 a lavorare in funzione di Berlino 1916 e la certezza che la Grande Guerra avrebbe impedito l’Olimpiade tedesca arrivò solo quando Austria, Germania, Francia, Russia e Regno Unito erano in trincea a combattersi già da quasi un anno. La colpa fu forse dell’errato calcolo di chi si aspettava una guerra lampo e non un conflitto di portata mondiale, il risultato fu che in quattro anni l’unico surrogato di Olimpismo fu offerto dai modesti Svenska spelen 1.[1]
Al termine delle ostilità, la voglia di riprendere in mano il discorso fu immediata. Ancor più immediata fu la necessità, da parte dei vincitori, di sottolineare che un successo o una sconfitta in guerra facevano la differenza anche in uno stadio: gli atleti, in special modo quelli appartenenti ai corpi militari, stavano ormai assumendo il ruolo di rappresentanti delle unità della politica internazionale e non di un cosmopolitismo aristocratico o di un internazionalismo senza bandiere.

L’occasione, prima ancora della VII Olimpiade, fu fornita dalla manifestazione che organizzarono nell’estate del 1919 a Parigi gli Stati Uniti tramite la Y.M.C.A., ovvero la Young Men’s Christian Association (niente Village People che ballano vestiti da indiano). Ai Giochi Interalleati, che La Stampa Sportiva chiama -forse più propriamente- Olimpiadi militari di Joinville, si ritrovarono i soli atleti-soldato delle nazioni uscite vittoriose dalla guerra, un vero banco di prova per il primo boicottaggio (forzato) della storia dei Giochi: Germania, Austria, Ungheria, Bulgaria e Turchia sarebbero state, infatti, escluse dall’Olimpiade di Anversa l’anno successivo.

La Cecoslovacchia che sconfigge il Canada. Janda è il

La Cecoslovacchia che sconfigge il Canada. Janda è il quarto da sinistra

Insieme a tante nobili e meno nobili competizioni, la manifestazione parigina, che nella memoria sportiva avrebbe lasciato poca traccia, ospitò anche un torneo di football2.

Ben otto le squadre iscritte: dall’Europa Occidentale Francia, Italia, Belgio; dalle lontane americhe Stati Uniti e Canada; dall’Europa Orientale Grecia, Romania e Cecoslovacchia, queste ultime due appena nate dalla dissoluzione degli Imperi altrui. Colpisce l’assenza di rappresentanti del Regno Unito, ma dall’esercito di Sua Maestà arrivarono solo atleti singoli e non squadre, anche per via di una palpabile diffidenza verso gli ingombranti alleati americani che erano rimasti in Europa con molti contingenti.
Nel primo dei due gironi da quattro la Francia ebbe la meglio dell’Italia, 2-0 nel match decisivo, mentre Romania e Grecia fecero solo da comparsa. Nel secondo fu la Cecoslovacchia a passare, grazie a due larghe vittorie su Belgio e Stati Uniti e a una più stentata contro il fanalino di coda Canada.
Il giorno della finale, il 29 giugno 1919, i francesi partirono forte, si portarono avanti di due reti prima di subire il parziale ritorno degli avversari. Durante l’intervallo, Jake Madden, l’allenatore scozzese dello Slavia Praga che aveva avuto l’incarico di guidare la rappresentativa cecoslovacca, ebbe la felice intuizione di riportare il gigantesco Antonín Janda dalla linea difensiva al centro dell’attacco. Il portiere francese Charygués, ben noto agli sportivi italiani, resse fino a cinque minuti dal termine, poi arrivarono i due gol di Janda, che diedero la vittoria a questa nuova Stato-Nazionale appena affacciatasi nel mondo del calcio. Era sorta una stella che avrebbe brillato fino alla discussa finale olimpica del 1920.

Nota sulla rappresentativa italiana:
Quale squadra e quali giocatori l’Italia portò ai Giochi non è chiaro. Poiché la manifestazione non fu riconosciuta né dalla FIFA, né dal CIO, non si può in ogni caso parlare di nazionale A. L’Italia vinse contro Grecia e Romania e si classificò terza senza giocare la finalina per il forfait del Belgio  (cfr. La Stampa del 1/7/1919)

Puntate precedenti: Calcio e Olimpiade: una contraddizione in termini; Il primo calcio olimpico; Il football al tempo dell’Expo; Ai Giochi di Atene del 1906 vince lo sportLe Nazionali alle Olimpiadi degli Stati-Nazione; Fuchs ne fa dieci ai russi
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