CAN 2021: Intro (1) e (2); Il punto a metà dei gironi, (3); Le isole Comore, (4); Camerun-Isole Comore [ottavi], (5);
Il punto dopo i quarti, (6); Senegal-Egitto [finale], (7)
Alla fine qualcuno ce l’ha fatta a battere l’Egitto e Abougabal, in arte Gabaski, ai calci di rigore. Il portiere dei Faraoni è stato nominato man of the match della finale contro il Senegal e non poteva essere altrimenti: un penalty parato a Mané dopo neanche cinque minuti, un’uscita bassa temeraria in area piccola a sradicare il pallone dai piedi sempre di Mané nel secondo tempo, due miracoli su Dieng nei tempi supplementari, una parata nella “lotteria dei rigori” conclusiva. La XXXIII Coppa d’Africa è, però, andata al Senegal perché dal dischetto Abdelmonem ha colto il palo e Lasheen si è visto neutralizzare il tiro da Edouard Mendy. Che un pararigori al momento non è, ma un portiere di ottimo livello sì (non avrebbe tolto il posto a Kepa al Chelsea); che ha respinto gli unici due tiri verso la sua effettuati dagli egiziani nel corso dei 120 minuti di gioco; che ha vinto la coppa. E questo basta a giustificare il premio di miglior portiere del torneo. Del resto, per Gabaski, ricevere anche questo riconoscimento sarebbe stato una vera beffa.
Per i Leoni della Teranga è la prima vittoria nel torneo continentale dopo due finali perse: nel 2002 con Metsu in panchina, qualche mese prima che il Mondiale nippocoreano facesse conoscere il Senegal al mondo, e nel 2019 già con Aliou Cissé alla guida, il capitano di quella squadra di 17 anni prima. È una vittoria meritata perché nella fase a eliminazione diretta i giocatori senegalesi non si sono fatti sorprendere da avversari alla portata come Capo Verde, Guinea Equatoriale e Burkina Faso e grazie ai colpi di classe di Mané e all’esperienza di Koulibaly, Diallo e Kouyaté hanno saputo trovare la via della porta al momento giusto. È meritata perché la vittoria egiziana avrebbe rappresentato la sconfitta del gioco del calcio comunemente inteso, con tutto il bene che possiamo volere a Gabaski e al capitano Salah, di gran lunga il migliore dei suoi per classe e (vani) tentativi di proporsi in avanti. Evidentemente, dopo due successi ai rigori con Costa d’Avorio e Camerun, al termine di match finiti a reti inviolate, lo spirito del pallone non se l’è sentita di far vincere l’Egitto.
Come non se l’è sentita di far vincere i padroni di casa del Camerun e, durante la premiazione, abbiamo capito perché questa è stata cosa buona e giusta. Kalidou Koulibaly, con la coppa in mano, è stato infatti costretto a salire le scale, a recarsi nel palco d’onore per stringere le mani all’ottantottenne presidente dello stato che ha ospitato la coppa, Paul Biya. Pare che questo strano protocollo, in realtà, sarebbe stato ancora più sgradevole: a Koulibaly sarebbe stato detto di alzare la coppa da solo, in tribuna, al fianco di Biya, ma il difensore del Napoli avrebbe rifiutato, aspettando di tornare sul campo insieme ai suoi compagni.
Un siparietto che ha visto coinvolti i vertici della CAF e il presidente FIFA Infantino e che sarebbe stato di cattivo gusto a prescindere, visto che Biya è al potere da quaranta anni e che in Camerun c’è una guerra civile. Una scena veramente odiosa, soprattutto alla luce di quanto accaduto giusto due settimane fa nello stadio che ha ospitato la finale, di quegli otto morti per dei cancelli chiusi, delle evidenti falle organizzative su cui il governo ha ovviamente glissato.