Coppa d’Africa, protagonisti/e, partite, approfondimenti: Edizione 2023, puntata 2/3

Alassane Ouattara, ne avevamo già parlato. Il presidente ivoriano, ora quasi novantenne, era entrato dentro uno dei nostri primi articoli dedicati al calcio africano e al profondo legame che questo ha con quanto accade nei singoli Paesi a livello politico e sociale. Un articolo che partiva ricordando l’appello fatto nell’ottobre 2005 da Drogba e compagni affinché cessasse la guerra civile in Costa d’Avorio e si tenessero delle elezioni regolari: gli elefanti si erano appena qualificati alla fase finale di un Mondiale, per la prima volta nella loro storia ed, effettivamente, quella qualificazione e quella richiesta così accorata contribuirono a creare un clima migliore tanto che da lì a qualche anno, tra mille difficoltà, si arrivò alle presidenziali (ottobre-novembre 2010).
Elezioni combattute che accesero nuovi scontri, perché Laurent Gbagbo, il candidato che al ballottaggio aveva avuto un maggior numero di consensi, fu accusato di brogli: così. dopo un riconteggio, venne dichiarato vincitore e riconosciuto tale dalla comunità internazionale l’altro candidato, che era proprio Alassane Ouattara, già primo ministro (1990-1993) e poi direttore generale aggiunto del Fondo Monetario Internazionale (1994-1999).
Dopo qualche mese e altri tremila morti, Gbagbo fu arrestato1 e da allora l’uomo, a cui è ufficialmente intitolato lo stadio Olimpico di Ebimpé, è presidente della Costa d’Avorio, forte di altri due successi elettorali, stavolta quasi plebiscitari (2015 e 2020) e forte della sua amicizia con la ex madre patria Francia, i cui interessi hanno influito notevolmente in tutti i mutamenti politici qui solo accennati.

Ora, come evidenzia il grafico qui riportato, dal 2012-2013 ad oggi il PIL della Costa d’Avorio è quasi raddoppiato, tanto che attualmente l’ex colonia francese è uno dei Paesi africani che attrae più investitori esteri.

Unità: milioni di dollari

Del resto, le materie prime agli ivoriani non sono mai mancate, in primis il cacao, di cui sono i maggiori produttori al mondo. La stabilità politica e l’avallo della “madre patria” hanno fatto il resto e, come da sempre succede, una nazione che vive un periodo di espansione economica è interessata a organizzare (e vincere) importanti manifestazioni sportive, al fine di attrarre attenzioni su di sé e legittimare le proprie aspirazioni. In Africa tutto questo non può che passare per il calcio e per la TotalEnergies Coupe d’Afrique des nations.
Son passati dieci anni da quando su questo sito ci occupammo per la prima volta di Coppa d’Africa. In particolare, nel 2015 raccontammo di un’edizione che il Marocco non volle causa ebola e che fu presa in carico dalla Guinea Equatoriale che spedì alcune squadre a giocare in piena foresta, lì dove piove sempre, su campi che noi definiremmo di terza categoria.
Da allora è notevolmente aumentato l’impegno che richiede l’organizzazione di una fase finale che dura un mese, coinvolge 24 squadre e mette in scena 52 partite. L’edizione disputata in Camerun nel gennaio 2022 era andata tutt’altro che bene da tanti punti di vista. Questa in Costa d’Avorio è sembrata, invece, un’edizione molto meglio riuscita.
Didier Drogba, che da giocatore non ha mai vinto una Coppa d’Africa, ha presenziato a tutti i match dei padroni di casa, indossando una maglietta della nazionale con dietro scritto ‘CAN’ e il numero 2023, chiaro segno che l’ex Chelsea era in prima linea in questo sforzo che governo e Paese intero stavano facendo per organizzare (e vincere) la manifestazione. Un endorsement che forse a Ouattara non servirà, qualora l’anziano presidente decidesse di ricandidarsi per un quarto mandato nel 2025, ma che ritengo oltremodo significativo perché fatto dallo stesso giocatore che lesse l’appello al cessate il fuoco in quell’ormai lontano 2005.

Non di sole emozioni vive, però, una coppa. Quando parlavo di riuscita della manifestazione, infatti, mi riferivo anche a una serie di accordi commerciali che gli organizzatori hanno concluso a margine della stessa e che hanno permesso anche la creazione delle infrastrutture necessarie. Per la costruzione di tre dei sei impianti destinati a ospitare i match valevoli per la coppa, si parla addirittura di stadium diplomacy e di mezzo c’è la Cina: l’Alassane Ouattara di Abidjan, il Laurent Pokou di San Pedro (città sulla costa) e l’Amadou Gon Coulibaly di Korhogo (città nord del Paese, lì dove la guerra civile era iniziata nel 2002) sono stati tirati su con soldi cinesi e fanno parte di una più ampia politica che la il colosso economico orientale attua nei Paesi africani che offrono prospettive di sviluppo.
Caratteristica degli stadi “built by China” è l’avere un settore dedicato alle scommesse “istituzionalizzato” all’interno della stessa struttura e gestito direttamente dalle agenzie di betting, immagino, cinesi. Per la cronaca, anche un quarto stadio, quello della capitale Yamoussoukro, è stato tirato su per l’occasione, ma con soldi di multinazionali francesi, tipo Sogea Satom il cui slogan abbastanza significativo è «construire l’Afrique de demain».

Certo, se si pensa che il tracollo con la Guinea Equatoriale nei gironi poteva dare un calcio a tutta questa fitta rete di relazioni che il governo ivoriano aveva intessuto, vengono i brividi. O, meglio, saranno venuti a Ouattara, Drogba e compagnia.

Edizione 2023, puntata precedente: Costa d’Avorio, da psicodramma a psicogioia; puntata successiva: Curiosità e spunti statistici made in Coppa d’Africa
Edizioni precedenti: 2012, 2013, 2015, 2017, 2019, 2022